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Perché sulle nuove tecnologie Usa e Ue devono giocare di sponda

Le due sponde dell’Atlantico hanno bisogno l’una dell’altra per affrontare le sfide del futuro e per sfruttare i benefici della rivoluzione digitale. Chi c’era e cosa si è detto durante il convegno “Tecnologie emergenti e sicurezza nazionale nelle relazioni transatlantiche”, organizzato dalla Scuola di politiche economiche e sociali

“Le nuove sfide portano nuove minacce, come quella cibernetica, e quando affrontiamo il tema della sicurezza dobbiamo farlo con un approccio olistico e proattivo, per questo non può essere affrontato solo da esperti ma da tutti”. Intervenuto all’incontro sulle Tecnologie emergenti e sicurezza nazionale nelle relazioni transatlantiche, organizzato dalla Scuola di Politiche Economiche e Sociali (SPES), Paolo Messa, senior fellow dell’Europe Center Atlantic Council, punta l’accento sulla collaborazione. Questa parola ha rappresentato il filo conduttore di tutto l’evento, incentrato sulla necessità di condividere le forze da una sponda all’altra dell’Oceano per vincere le sfide che ci attendono. “Il governo degli Stati Uniti ha da poco rilasciato una lista aggiornata di tecnologie emergenti e critiche, un elenco non lunghissimo ma estremamente interessante. È una piccola guida per tempi non lontanissimi, che richiede una capacità professionale nuova. Qui – ha sottolineato Messa – non si tratta solo di definire l’applicazione delle tecnologie ma di organizzare la policy”. Non soltanto regolamentare, dunque, ma anche “trarre benefici e fare leverage di queste tecnologie”.

Un esempio di collaborazione pratica lo abbiamo visto subito dopo l’invasione della Russia in Ucraina, con l’Europa costretta a virare su altre fonti energetiche per slegarsi da quelle moscovite. E Bruxelles ha trovato un paracadute proprio nel gas liquefatto di Washington, come ha ricordato Simone Nisi, director of institutional affairs di Edison, ospite di casa. Quella partnership è un esempio di come c’è necessità di mettere insieme le forze. “Esisteranno tante tecnologie che l’Italia e l’Europa non saranno in grado di sviluppare, come i sistemi di stoccaggio e cattura di CO2 su cui gli americani sono molto più avanti di noi. E qui c’è una grande opportunità per collaborare, ma esistono altri campi”. Quello della decarbonizzazione è uno dei tanti, con il vicepresidente di Edison Lorenzo Mottura che in audizione in commissione Ambiente del Senato ha evidenziato come “se aspettiamo a sviluppare l’industria del nucleare quando sarà il tempo della fusione, sarà troppo tardi. Oggi è la finestra giusta per lo sviluppo della supply chain, allenarci sulla fissione ci darà modo di essere pronti per la fusione”.

Ciononostante, la collaborazione deve essere selettiva: “È chiaro che dobbiamo rivolgerci a quei partner più simili a noi, con sistemi industriali simili”, ha osservato Nisi. Dello stesso avviso anche Messa, per cui bisogna cementificare “la collaborazione internazionale, un aspetto fondamentale. Nessuno può affrontare queste sfide da solo e non possiamo farlo per decreto legge. L’idea che ci basti la legge per stare sicuri non funziona”, ha aggiunto mettendo in evidenza una differenza tra l’approccio europeo e quello statunitense. “Noi cerchiamo di costruire delle dighe e lì un’architettura un po’ più articolata per valorizzare tutti i benefici che la tecnologia offre. Chiaramente – ha proseguito – l’aspetto fondamentale è la condivisione delle informazioni”. Non un compito facile, visto che “molte sono classificate. Ma è una chiave importante per poter rispondere alle minacce esterne. Un pezzo sta nella prevenzione, ma un altro sta nella gestione e nella cooperazione pubblico-privato”. Un caso pratico arriva giustappunto dall’America. “Microsoft è un attore a pieno titolo della sicurezza nazionale statunitense e produce una reportistica che serve al governo americano per poter agire”.

Presente all’incontro c’era proprio Antonio De Palmas, vicepresidente del Global Market Development Public Sector di Microsoft. “Stiamo parlando con più di cinquanta Paesi in giro per il mondo e sosteniamo i governi nell’avanzamento delle loro strategie digitali e tecnologiche”, ha confermato. Come tutte le novità rivoluzionarie, anche l’IA spaventa per le sue conseguenze. Più nello specifico è l’IA Generativa, quella che impara ed esegue e quindi potrebbe sostituire l’essere umano. “Ma l’IA non è solo questo. È una forza ineluttabile e, come tutte, prima la affrontiamo prima la capiremo. Ha una potenzialità di crescita enorme: vedo che molti Stati la stanno usando soprattutto nell’istruzione e nella sanità”. Per la prima, può dare a tutti gli studenti gli studenti di un paese un tutor personale per assisterlo nel suo apprendimento a costi tutto sommato limitati ma con un impatto notevole, specie per quei paesi anagraficamente giovani. Nel settore della salute, invece, offre la possibilità di assistere i pazienti. “Questi due aspetti vanno ad avvantaggiare quei paesi che sono un po’ più indietro”, ha spiegato De Palmas. Per cui magari, fra cinque o dieci anni, anche paesi insospettabili che oggi stanno investendo in hardware a sostegno dell’IA potrebbero sedere nel G7”. Motivo per cui, “non penso che qualcuno possa permettersi il lusso politico di non capire l’IA. Sarà il Pil del futuro e dobbiamo farci i conti”.

Comprendere le nuove tecnologie è d’altronde di vitale importanza per affrontare i suoi rischi. Nel momento in cui a milioni di cittadini viene permesso di scaricare Chat-GPT, che sta cambiando la quotidianità così come la conoscevamo, va da sé che un governo debba avere il controllo della situazione. Per Silvia Castagna, membro della Commissione AI per l’informazione della presidenza del Consiglio dei ministri, il “mismatch tra quello che le persone e la politica fanno e dicono è importante”. Il 95% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni utilizza l’IA, un percentuale che col passare degli anni crescerà aumentando il divario tra i nativi digitali e chi è costretto ad adeguarsi ai tempi. “Se l’IA viene utilizzata dalle grandi aziende per sostituire fette di impiegati, allora non è buona”, ha proseguito Castagna. A meno che “non ci si attrezzi per una grande fase di formazione stando attenti a non lasciare fuori quella parte di popolazione che non è in grandi aziende strutturate, come le pmi e le pubbliche amministrazioni che sono indietro almeno di un anno e mezzo a cui va dato un aiuto”.

Il contributo offerto dalla sua Commissione è di aver fissato dei punti fermi, dei parametri di riferimento. Verranno pubblicizzati in seguito, ma tra questi c’è anche quello che riguarda il settore dell’editoria, in cui bisogna “rispettare un equo compenso anche per i giornalisti non assunti. Il principio è che se fai parte di questo mondo ci sono dei paletti”, che interessano anche i lettori. “Per loro c’è un bollino che certifica la veridicità delle notizie e l’Ansa già lo fa. O, viceversa, avvertire che è stata scritta con IA”.

Il tema delle fake news è centrale in vista delle prossime elezioni. Nel 2024 ci saranno 65 Paesi al voto, tra cui Europa e Stati Uniti, ma secondo gli ultimi sondaggi solo un quarto degli elettori mondiali andrà alle urne. “Tra i vari miglioramenti che l’IA potrebbe apportare”, ha argomentato Castagna, “ci sono anche le campagne elettorali”: La tecnologia potrebbe aiutare nella gestione del budget, nelle comunicazioni e nei messaggi più incisivi per spingere le persone a votare. Oltre che per difendersi dalle interferenze esterne. Per utilizzare una frase di Albert Einstein citata da Messa durante l’incontro, “il mondo non sarà distrutto da coloro che faranno del male, ma da coloro che guardano e non faranno nulla”.

 


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