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Punto di flessione a Gaza. L’Iran alza la tensione con Israele

Il fatto che una rappresaglia iraniana contro Israele sia considerata “imminente” porta Teheran a ottenere un successo tattico nel breve tempo: aver creato timore nello Stato ebraico. Nel caos, il rischio è che le perdite di controllo finiscano in escalation

Chi segue con costanza le evoluzioni del conflitto israeliano a Gaza e della crisi mediorientale innescatasi dal 7 ottobre (giorno del mostruoso attentato di Hamas che ha avviato l’attuale stagione di guerra), ha passato la nottata aspettandosi il peggio. Dopo l’avviso fatto filtrare via Bloomberg dagli Stati Uniti sulla “imminente” rappresaglia iraniana — vendetta per l’eliminazione in un raid probabilmente israeliano di sette alti ufficiali dei Pasdaran a Damasco, nel terreno dell’ambasciata iraniana — si è creduto che Teheran potesse da un momento all’altro sferrare un attacco contro Israele. Azione che significherebbe un probabile cambiamento del corso del conflitto, arrivato in un “inflection point”, come scrive il Washington Post.

C’erano tutti gli elementi. Insieme in ordine sparso per comprendere la situazione creatasi nel giro di un’ora poco dopo la mezzanotte (ora italiana): i voli interni sull’Iran erano stati sospesi per via di un’esercitazione e Lufthansa aveva deciso autonomamente di non far atterrare nessun aereo su Teheran; sui giornali israeliani circolava la notizia che gli insegnanti avevano chiesto agli studenti di prepararsi per lezioni a distanza dopo le vacanze della Pesach (che iniziano in questi giorni); il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, aveva telefonato al suo collega turco, Hakan Fidan, per uno scambio di battute organizzativo (la Turchia è in una fase di conflitto commerciale con Israele, ma dovesse esserci un attacco iraniano contro lo Stato ebraico basi come Incirlik dovrebbero essere rese disponibili, anche perché Joe Biden promette “sostegno totale”); il Pentagono annunciava la missione di Eric Kurilla, capo del CentCom, che arriverà oggi in Israele per aiutare nel coordinarsi con le forze locali nella gestione dell’attacco iraniano; i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Iraq avevano parlato al telefono con il ministro degli Esteri iraniano e discusso delle tensioni regionali su invito del capo del dossier Medio Oriente della Casa Bianca, Brett McGurk, che aveva chiesto loro di trasmettere un messaggio sulla necessità di allentare la situazione con Israele.

Al caos contribuiva la propaganda iraniana, che tramite account collegati alle strutture di potere della teocrazia faceva uscire messaggi criptici (anche se chiarissimi nel loro intento). Per esempio, in un account X che si occupa di rilanciare la propaganda più basica di Teheran è comparso una sorta di conto alla rovescia che puntava alle 01:20 (dubbio del momento: ora israeliana o locale?). L’orario è quello in cui è stato eliminato Qassem Soleimani, generale epico dei Pasdaran ucciso il 6 gennaio 2020 in un raid a Baghdad autorizzato da Donald Trump. In quella stessa ora, due giorni più tardi, era partita la salva di missili da crociera e droni che hanno colpito alcune caserme irachene dove erano (e sono) acquartierati anche militari americani. L’ora 1:20 appariva in diversi altri bot e account conosciuti, e sembrava qualcosa di lugubre simile al countdown nel “Problema dei tre corpi”. Ma poi non è successo niente, per ora.

Restare col dubbio se qualcosa accadrà stanotte, o domani o dopo domani o chissà quando è già un successo per l’Iran. Aver innescato uno situazione di costante timore per la rappresaglia è probabilmente l’obiettivo di Teheran nel brevissimo termine. La Repubblica islamica sta cercando di comprendere come capitalizzare al massimo dalla situazione. Ci sono da tempo rumors che pare abbia accettato come contropartita per non attaccare solo un cessate il fuoco — che poi rivenderebbe come successo diplomatico, qualcosa su cui “il malvagio” Israele e il “Grande Satana” americani hanno dovuto cedere per paura della ritorsione. Ma nei negoziati propedeutici alla tregua sugli ostaggi ancora in mano a Hamas ci potrebbero essere dei problemi. E poi l’Iran è multiforme, ed è possibile che ci sia una linea interna oltranzista (probabilmente quella legata all’industria militare) che non si accontenta dell’effetto psicologico e della forzatura diplomatica, ma voglia l’attacco.

Ma è una circostanza rischiosa, perché di quell’attacco di cui si sa già molto — ci sarà, dicono tutti contro la prassi militare basata solitamente sull’effetto a sorpresa, e sarà un mix di azioni aeree e cyber — non si conosce un unico aspetto: le conseguenze. È del tutto possibile che un raid diretto dell’Iran creerebbe un’escalation fuori controllo, ed anche per questo Teheran ha finora evitato il coinvolgimento diretto, preferendo la tutela di interessi strategici e lasciando che l’azione di disturbo contro Israele venisse condotta dalle milizie connesse al network regionale dei Pasdaran — anch’esse comunque invitate a restare su un livello di coinvolgimento minimo per evitare escalation. Ciò nonostante Israele non ha risparmiato attacchi contro il personale iraniano in Siria per esempio, ma mentre finora Teheran ha potuto gestire con resilienza e strategia la reazione, ora — dopo che i missili hanno colpito l’area dell’ambasciata di Damasco, ossia territorio iraniano — potrebbe essere chiamato a qualche dimostrazione. D’altronde, è stata la stessa Guida Suprema Ali Khamenei a dire che “colpendo una sede diplomatica”, Israele, “il malvagio regime”, “ha colpito il nostro territorio” e per questo “sarà punito”.

C’è da analizzare poi un ulteriore elemento, quello appunto delle milizie in vario modo connesse all’Iran. Israele sta valutando se un attacco condotto tramite esse — da Hezbollah nel fronte nord a quelle siro-irachene operative dal Golan — potrebbe essere addossato direttamente all’Iran e creare comunque i presupposti per un’escalation contro Teheran. Il fermento è totale, anche perché Israele non arresta le operazioni. Anzi, ieri ha fatto notizia l’uccisione di tre figli e tre nipoti di Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, probabilmente parte del nuovo step annunciato dalle forze armate israeliane. L’inizio di “un’operazione di precisione, basata sull’intelligence, per colpire le infrastrutture terroristiche ed eliminare gli agenti [di Hamas] nel centro di Gaza”. Sempre ieri, una delle figure note per aver finanziato Hamas e Hezbollah (già per questo sanzionata anche dagli Usa), e aver guidato parte del sostentamento che i Pasdaran mandavano al gruppo palestinese nella Striscia, è stato trovato morto a Beit Mery (nell’area collinare sopra Beirut). Sono situazioni che complicano il percorso dei negoziati, rendono le milizie più tese, mettono in difficoltà le capacità di controllo dell’Iran su di esse.

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