Possiamo derubricare a macabra messinscena l’attacco contro Israele? No: farlo segnerebbe un altro passo in avanti verso il baratro di una sostanziale mancanza di volontà nel comprendere la reale portata dei fatti che accadono intorno a noi
Possiamo derubricare a macabra messinscena l’attacco iraniano contro Israele? Possiamo cioè considerarlo una mossa di propaganda a prevalente uso interno, volta a non perdere la faccia dopo il colpo durissimo inferto alla leadership militare del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Pasdaran) con il bombardamento del 2 aprile a Damasco?
No che non possiamo. E dico di più: farlo segnerebbe un altro passo in avanti verso il baratro di una sostanziale mancanza di volontà nel comprendere la reale portata dei fatti che accadono intorno a noi.
Cerco di spiegarmi, cominciando dai fatti. I mezzi impiegati rappresentano un’impressionante escalation nelle strategie di offesa verso Israele, per il semplice fatto che nessuno, ripeto nessuno, mai nella storia aveva lanciato 185 droni, 36 missili da crociera e 110 missili balistici (New York Times, citando fonti del governo israeliano) in un simultaneo attacco concentrato in poche ore. Inoltre, questa offensiva si è realizzata con utilizzo di basi di lancio collocate in almeno tre diverse nazioni (Iran, Iraq e Yemen): anche questo un unicum nella storia (parlando di attacchi non via terra). Infine, occorre tenere presente l’elemento politico/militare più importante della vicenda, cioè il fatto che l’attacco è stato messo in atto su deliberata e ufficiale volontà delle massime autorità di Teheran, accadimento mai verificatosi prima d’ora e che rende le relazioni tra Iran e Israele plasticamente convergenti verso la condizione di Paesi in guerra.
Attenzione, perché la differenza non è di poco conto, quindi è meglio soffermarsi su questo punto. La condizione fino a ieri era di massima tensione, con attività ostili reciproche a vari livelli. Da oggi siamo in un mondo nuovo, perché siamo a poche ore da un atto di guerra su vasta scala, che ci proietta in un futuro la cui gestione dovrà tenere conto di una guerra non “potenziale” ma esistente.
Si dirà (e molti già lo fanno): l’attacco non ha prodotto gravi danni e la quasi totalità dei mezzi di offesa sono stati messi fuori gioco prima di avvicinarsi allo spazio aereo israeliano. Oppure: è chiaro che gli Stati Maggiori si parlano e da Teheran hanno cercato di tenere conto delle reazioni internazionali nella loro strategia d’attacco. Tutto vero, soprattutto il fatto che i contatti ad alto livello (politico, militare e d’intelligence) stanno lavorando intensamente sul dossier.
Ma se c’è un aspetto che considero drammatico nella sua gravità è la tendenza (tutta occidentale) di sminuire, minimizzare, circoscrivere: l’Iran ha mosso guerra in modo ufficiale a Israele, che si è difeso efficacemente (anche) grazie all’aiuto robusto di statunitensi, francesi e britannici, la cui partecipazione alle attività di contrasto è stata massiccia.
Quindi dobbiamo portare a casa due consapevolezze da quanto accaduto nelle ultime ore. Primo: il mondo in cui viviamo attualmente è perfettamente in grado di scatenare guerre senza escludere alcun livello di escalation (solo quella nucleare appare, allo stato, non proponibile), anzi molti attori desiderano fare questo sempre più spesso e hanno l’articolato sistema di alleanze che ruota intorno agli Stati Uniti come obiettivo comune. Secondo: quella di stanotte è anche una grande prova generale sul lato tecnico per l’Iran. In guerra non si può improvvisare, men che meno con le moderne tecnologie. Quindi dai fatti appena accaduti tutti hanno da imparare, compresi quelli che desiderano un mondo caotico dai mille conflitti.
Imparare per fare “meglio” la prossima volta.