La pandemia non ha mandato al tappeto i distretti industriali del made in Italy, che hanno saputo aggirare anche la crisi tedesca e le tensioni in Medio Oriente, molto più di quanto non abbiano saputo fare le imprese di altri Paesi. Ecco cosa scrivono gli economisti di Intesa SanPaolo nel sedicesimo rapporto annuale sull’economia e la finanza dei distretti industriali
L’industria italiana è sempre stata resiliente e resistente. La pandemia, certo, per poco non ha mandato knock out la seconda manifattura europea. La quale però adesso, è tornata a macinare fatturato. Di nuovi rischi ce ne sono, dal Medio Oriente al Mar Rosso, passando per l’Ucraina. Eppure, secondo gli economisti di Intesa San Paolo, che hanno presentato il sedicesimo rapporto annuale Economia e finanza dei distretti industriali: le sfide green e digitale.
la crescita delle imprese italiane, soprattutto quelle facenti parte di un distretto, non si fermerà. In altre parole, il made in Italy è la vera polizza vita per l’economia italiana.
Premessa. “il quadro geopolitico si è ulteriormente deteriorato sul finire del 2023, quando, sempre alle porte dell’Europa, è iniziata una nuova guerra tra Israele e Hamas che, al pari di quella in Ucraina, è tuttora in corso. Tra gli elementi di incertezza che caratterizzano l’attuale scenario vi sono anche le prossime elezioni in Europa e negli Stati Uniti. Ciononostante, il tessuto produttivo italiano ha le risorse per affrontare questa fase complessa, grazie soprattutto a un poderoso processo di riposizionamento strategico che ha visto crescere gli investimenti italiani in macchinari, mezzi di trasporto e Ict del 29,3% tra il 2016 e il 2023”.
“Ciò ci consente di guardare con ottimismo alla ripresa che ci attendiamo partire nella seconda parte del 2024 e intensificarsi nel corso del 2025 quando si saranno dispiegati gli effetti del rientro dell’inflazione, del taglio dei tassi di interesse e della spinta dei fondi del Pnrr”. E dunque, “il fatturato, dopo il balzo registrato nel biennio 2021-22, è stimato aver mostrato un lieve incremento nel 2023 (+0,8% a prezzi correnti), collocandosi abbondantemente sopra i livelli del 2019 (+20% circa a prezzi correnti). Si tratta di una performance decisamente positiva e superiore a quella delle imprese non distrettuali. Tutti i settori mostrano valori del fatturato maggiori rispetto a quelli del 2019”.
Di riflesso, anche l’export mostra segni di tenuta. Tanto è vero che “nel 2023 l’export distrettuale è rimasto sostanzialmente stabile, confermando i livelli record toccati nel 2022 quando per la prima volta si era superata di slancio la quota dei 150 miliardi di euro esportati. I distretti hanno saputo superare la debolezza del mercato tedesco cogliendo le opportunità di crescita presenti in altri mercati, come ad esempio, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, il Messico, l’Arabia Saudita, la Cina. Si tratta di un’ulteriore conferma della straordinaria capacità e velocità di adattamento delle imprese distrettuali che spiccano nel panorama italiano per propensione all’export e capacità di creare valore nel territorio. Nel 2023, infatti, l’avanzo commerciale dei distretti è salito di altri 4,4 miliardi di euro (+4,8%), toccando la quota record di 94,3 miliardi di euro”.
E il futuro? L’accelerazione ci sarà ed è un’altra buona notizia. “Le attese per il biennio in corso”, hanno spiegato da Ca’ de Sass, “sono positive: è previsto un aumento del fatturato a prezzi correnti delle imprese distrettuali pari all’1,1% nel 2024 e del +2% nel 2025. Ancora in evidenza agro-alimentare e meccanica. Il primo settore potrà contare su un potenziale di crescita inespresso sui mercati internazionali. Il secondo beneficerà della maggior domanda di beni di investimento attivata dalla transizione digitale e green”.
Questo anche perché “è proseguito il processo di rafforzamento patrimoniale delle imprese distrettuali: il patrimonio netto in percentuale del passivo è salito sopra la soglia del 30% nei distretti, leggermente superiore ai valori osservati al di fuori dei distretti. Un’originale analisi di lungo periodo sui bilanci aziendali mostra come questa percentuale si sia raddoppiata in vent’anni (era di poco sotto il 16% nel triennio 1998-2000)”.