Il sottosegretario agli Esteri, Giorgio Silli, ha partecipato alla Conferenza umanitaria internazionale per il Sudan e per i Paesi vicini, organizzata da Francia, Germania e Unione Europea. Il terzo Paese più grande dell’Africa (e quindi ricco di risorse) resta nel baratro: il golpe favorito da Wagner mette alla fame 25 milioni di persone
È stallo in Sudan, il terzo Paese più grande dell’Africa, ad un anno esatto dallo scoppio del conflitto. L’emergenza è gravissima ormai per sei milioni di sfollati e un milione e mezzo di rifugiati nei Paesi vicini: si tratta della maggiore crisi umanitaria per numero di persone sfollate al mondo. Anche il sottosegretario agli Esteri, Giorgio Silli, ha partecipato alla Conferenza Umanitaria Internazionale per il Sudan e per i Paesi vicini, organizzata da Francia, Germania e Unione Europea. Accanto ai fondi stanziati, ecco il ruolo dell’Italia a sostegno della mediazione da parte dell’Onu, dell’Unione africana e degli altri attori internazionali e regionali.
Qui Sudan
L’occasione è la Conferenza Umanitaria Internazionale per il Sudan e per i Paesi vicini, organizzata da Francia, Germania e Unione Europea a Parigi a un anno esatto dallo scoppio del conflitto. Il risultato è nell’invio di 2 miliardi di euro di aiuti a sostegno di 25 milioni di persone (la metà esatta della popolazione) ridotte alla fame a causa della lotta per il potere scoppiata tra esercito e paramilitari. Da dodici mesi si contendono la leadership due generali, Abdel Fattah Burhan e Mohammed Hamdan Dagalo. Il primo controlla le forze armate sudanesi, mentre il secondo, soprannominato Hemedti, controlla il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), mentre i ribelli si sono anche impadroniti di un laboratorio biochimico, con all’interno virus e batteri di varie malattie potenzialmente da usare come armi.
Ma le due fazioni non si stanno limitando a combattersi, bensì hanno “allargato” gli attacchi anche ai civili: lo ha spiegato l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Sudan, Tom Perriello, secondo cui “i bombardamenti dell’esercito sudanese a El Fasher, dove migliaia di civili provenienti da tutto il Darfur hanno cercato rifugio, non sono riusciti a evitare le località civili, provocando decine di vittime”.
Qui Roma
L’Italia, ha spiegato il sottosegretario, rinnova l’appello a tutti gli attori coinvolti nel conflitto sudanese a porre immediatamente fine agli scontri armati, a proteggere i civili e ad astenersi dagli attacchi alle infrastrutture civili. Il punto di caduta per il governo è nella soluzione negoziata da parte dell’Onu, dell’Unione africana e degli altri attori internazionali e regionali al fine di arrivare allo stop delle ostilità. Ma un momento dopo sarà imprescindibile riprendere il filo del dialogo politico per ripristinare le istituzioni civili nel Paese. E in questo senso il ruolo del Piano Mattei può essere decisivo.
Dietro il tentativo di golpe in Sudan c’è stata la mano della milizia russa Wagner: il gruppo armato ha impedito la transizione di potere verso un governo civile e la RSF ha collegamenti diretti con l’esercito privato. Poco è stato fatto nell’anno appena trascorso e oggi l’occidente si ritrova alle prese con un altro fronte di crisi proprio mentre gran parte dell’Africa è sotto l’influenza di Cina e Russia. Le politiche ibride applicate da Wagner in Sudan sono la naturale prosecuzione di una strategia avviata a quelle latitudini sin dal 2019 per rispondere al vuoto francese. Per cui la battaglia di Khartoum è fondamentale per i russi che puntano sia al controllo delle risorse minerarie della regione, sia ai flussi migratori verso l’Europa meridionale.
Scenari
Il terzo Paese più grande dell’Africa (e quindi ricco di risorse) resta nel baratro: oltre alla fame per milioni di persone c’è da considerare l’elemento energetico e delle terre rare. Il Sudan è il terzo più grande produttore di oro dell’Africa, ha petrolio, diamanti, zinco, tungsteno, argento. I proventi del petrolio rappresentano il 98% del reddito. Molte sono le miniere controllate da Hemedti e la Wagner ne approfitta, anche grazie alla società M Invest e alla sua controllata Meroe Gold, che lavora in tandem con Aswar, una società controllata dall’intelligence militare sudanese.
È di tutta evidenza come la stabilità geopolitica dell’Africa sia direttamente proporzionale alla corsa alle terre rare dove concorrono i big player mondiali, ma non solo, perché si tratta di un delicatissimo equilibrio nel quale si gioca il futuro della sovranità industriale europea.