Mario Draghi ha riportato al centro del dibattito un tema essenziale a proposito di competitività europea. “Se vogliamo portare avanti le nostre ambizioni climatiche senza aumentare la nostra dipendenza da Paesi su cui non possiamo più affidarci, serve una strategia complessiva che comprenda tutti gli stadi della catena di approvvigionamento delle materie prime critiche”. Assicurare l’accesso ai materiali critici rappresenta una sfida essenziale per il futuro tecno-industriale del continente
Mario Draghi è tornato a parlare in pubblico, in particolare sul futuro dell’Europa e tralasciando passare alcuni temi che saranno al centro del rapporto che la Commissaria Ursula von der Leyen ha commissionato proprio all’ex premier sulla competitività dell’Ue. Un documento che, insieme a quello di Enrico Letta sul Mercato Unico, farà sicuramente da base di riflessione per la prossima legislatura europea, a prescindere da quale sarà l’esito delle elezioni. Sarà infatti la definizione della Strategic Agenda 2024-2029 (punto focale del Consiglio Europeo di giugno) a completare il trittico che costituirà il quadro di riferimento per l’operato della prossima Commissione europea.
Nel suo intervento alla Conferenza di alto livello sui diritti sociali, Draghi ha infatti riportato al centro del dibattito – qualora sia mai scomparso – un tema essenziale a proposito di competitività europea. “Se vogliamo portare avanti le nostre ambizioni climatiche senza aumentare la nostra dipendenza da Paesi su cui non possiamo più affidarci, serve una strategia complessiva che comprenda tutti gli stadi della catena di approvvigionamento delle materie prime critiche”.
Seppur la Commissione europea abbia fatto passi in avanti in questa direzione, con il passaggio dell’European Critical Raw Materials Act che entrerà in vigore nelle prossime settimane, secondo l’ex premier “servono misure complementari per rendere gli obiettivi più tangibili”. L’esortazione di Draghi fa riferimento alla necessità di trovare strumenti e meccanismi concreti, che possano avvicinare – più difficile raggiungere, considerando gli obiettivi ad oggi molto ambiziosi del CRMA – l’Ue ad una riduzione della dipendenza dall’estero non solo delle materie prime, ma anche di prodotti e componenti a maggior valore aggiunto.
Il presupposto di Draghi, infatti, è quello di un approccio comune e pubblico verso un settore strategico per gli interessi industriali europei, e che deve tenere conto di un contesto internazionale post Covid-19 e guerra in Ucraina, senza dimenticare la “guerra” tecnologica tra Stati Uniti e Cina, che hanno sconvolto le catene globali del valore. “Gli altri non stanno più giocando secondo le regole e stanno attivamente perseguendo politiche per rafforzare la loro posizione competitiva”, in un riferimento non troppo velato all’Inflation Reduction Act (IRA), mentre non ha lesinato critiche alla Cina per “minacciare di escludere” la base industriale europea “con il tentativo di catturare e internalizzare tutte le parti della supply chain delle tecnologie green e avanzate”.
In risposta, l’Ue dovrebbe fare riferimento a tre pilastri comuni di policy: garantire economie di scala, investimenti e forniture di materiali critici. Ed è in quest’ultimo punto che emerge una proposta concreta dalle sue parole. La suggestione preliminare sollevata da Draghi è quella di lanciare, in prima battuta, “una piattaforma dedicata alle materie prime critiche, appositamente creata per gli acquisti congiunti”. Si tratta del Joint Purchasing Mechanism, uno strumento discusso nel draft originale del CRMA all’articolo 24, nel capitolo 4 dedicato al tema del rischio e del monitoraggio degli approvvigionamenti. Secondo la proposta della Commissione nel Regolamento, si tratterebbe di un sistema per aggregare la domanda delle imprese interessate al consumo di materie prime strategiche (SRMs) – il gruppo di 17 materiali ritenuti vitali non solo per la transizione energetica e le tecnologie green, ma anche per industrie della difesa e transizione digitale, come cobalto, gallio, germanio, litio, nichel, silicio metallico, terre rare, titanio e tungsteno – stabilite dall’Ue nella Lista, rinnovata ogni tre anni, e dalle autorità degli Stati membri responsabili di eventuali “scorte strategiche” per cercare di ottenere dai fornitori un’offerta che soddisfi tale domanda aggregata, sia per gli stadi upstream che midstream della catena di approvvigionamento.
Non si tratta, dunque, di un’idea dell’ex premier ma è interessante notare l’enfasi riposta sul meccanismo quale possibile strumento per mitigare l’esposizione dell’Ue dai rischi derivanti da un’eccessiva dipendenza, la quale non si traduce meramente in una percentuale maggiore delle importazioni sui consumi finali, ma piuttosto anche sulla difficoltà dell’Europa di controllare l’offerta, a differenza di Pechino, e naturalmente di far fronte alla volatilità dei prezzi. Un elemento, questo, che si traduce in maggiori costi di produzione e che in tecnologie specifiche – come le batterie al litio – rappresentano un elemento di preoccupazione rispetto alla competizione internazionale (specialmente quella delle industrie cinesi).
Nell’istituzione e gestione di un simile meccanismo, la Commissione deciderebbe per quali SRMs, e in quale fase di lavorazione, possa essere implementato, tenendo conto appunto del rischio relativo di ciascuna materia prima e della necessità di costituire delle scorte strategiche sulla base di quanto previsto negli articoli precedenti. Uno strumento simile sarebbe tanto più efficace tenendo conto dei partecipanti interessati – gli Stati membri – quanto dei volumi gestiti, con la necessità di decidere congiuntamente sui prezzi di acquisto dai fornitori che comunque dovrebbero escludere entità verso cui l’Ue ha posto in essere misure restrittive o sanzionatorie (un caso eclatante, è quello del nichel e delle società russe).
Non è dunque un caso che sia stata lanciata da parte della Commissione europea una consultazione pubblica tra gli stakeholders per affinare proprio il meccanismo in previsione del suo lancio: l’obiettivo è quello di sondare il terreno tra i possibili fornitori di materie prime strategiche che siano interessati a prendere parte al meccanismo di aggregazione della domanda e di matchmaking.
Tuttavia, rimane essenziale ragionare sul presupposto per indagare il potenziale ruolo dello stoccaggio o di iniziative congiunte di acquisto in questo settore. Infatti, le modalità per garantire l’approvvigionamento di materiali critici in un’ottica di sicurezza (che è l’obiettivo finale anche per quanto concerne il settore energetico) sono differenti da quanto accade per esempio nel settore del petrolio o del gas naturale liquefatto. Per questi ultimi due parliamo di flussi di approvvigionamento, non di stock o input industriali, che devono essere garantiti per dare continuità ai servizi energetici. Nel caso delle materie prime strategiche, queste sono acquistate in volumi minori, ma soprattutto in molti casi non si tratta di commodity con prezzi standardizzati o che presentano elevata liquidità. Senza contare che, in alcuni casi come il litio, molti operatori sono incentivati a bloccare l’offerta in cambio di investimenti, soprattutto per i progetti in fase di lancio e in un contesto di mercato che vede un ventaglio di fornitori più limitato e che sposta il potere negoziale a vantaggi di quest’ultimi (soprattutto per gli operatori industriali fuori dalla Cina). In generale, sono tre i motivi principali che comunque sottendono a questa necessità: 1) concepire uno strumento di intervento sul mercato a breve termine ma che non rappresenta uno strumento di supply management a lungo termine; 2) l’assenza di un meccanismo di intervento sui prezzi; 3) la possibilità di ricorrere a stock di emergenza, che si distinguono da quelli già in essere a livello commerciale.
Ma come anticipato, si tratta di mercati estremamente eterogenei, ciascuno con fondamentali differenti, una platea di industrie interessate che richiedono materiali con specifiche tecniche concordate con i fornitori. Senza contare che, tra i Paesi membri, non esiste una reale omogeneità delle necessità di approvvigionamento, specialmente per quelle industrie e tecnologie su cui non vi è una vera e propria politica industriale comune. Lo dimostra il fatto che Germania e Francia abbiano istituito dei fondi nazionali sovrani a supporto dell’industria per diversificare le forniture. Inoltre, il fatto che il meccanismo sia concepito, nel Regolamento, per il sotto-insieme delle materie prime strategiche la dice lunga sulla necessità di restringere il campo per rendere l’aggregazione della domanda realmente efficace e percorribile a livello comunitario.
In ogni caso, l’efficacia di uno strumento di acquisto comune o di stoccaggio è valutabile solo e soltanto sulla base dell’obiettivo che si pone, più che sulle modalità con cui lo si implementerà. Nel caso del petrolio, le perturbazioni sui mercati del greggio che hanno imposto, in talune circostanze, di ricorrere allo stoccaggio, erano tali da avere effetti teoricamente diffusi su larga parte dell’economia e della società (soprattutto nel breve periodo). Nel caso dei materiali critici, è lecito aspettarsi conseguenze diverse tra gli attori coinvolti: dai ritardi sulla produzione, all’aumento dei prezzi scaricati a valle sui prodotti finiti e sul consumatore finale.
È verosimile che tale meccanismo sarà quanto più efficace se impiegato per tutelare “un bene comune” come la sicurezza e la difesa – considerando che gli approvvigionamenti per l’industria bellica rappresentano già un problema non indifferente in un contesto mondiale di riarmo – che non interessi industriali per ora ancora troppo parcellizzati nel blocco in riferimento ad asset e tecnologie (come auto elettriche, batterie, semiconduttori, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici) su cui l’Ue prova a rincorrere, ma dovendolo fare necessariamente su tutti gli step della filiera e a partire da condizioni di competitività e competenze variegate tra gli Stati membri. Rimane comunque il monito di Draghi alla prossima Commissione: assicurare l’accesso ai materiali critici rappresenta una sfida essenziale per il futuro tecno-industriale del continente.