L’afonia di Giorgia Meloni sull’antifascismo legittima e apre le porte a ogni estremismo di sinistra. Lascia che l’antifascismo scivoli nelle mani di chi vuole usarlo come un randello contro istituzioni, nate appunto antifasciste. Il commento di Francesco Sisci
Nel 1593, con la vittoria in tasca sui suoi nemici cattolici, alle porte della capitale, Enrico di Navarra, ugonotto, si convertì alla fede “papista” pronunciando la celebre Parigi val bene una messa. Diventò primo sovrano dei Borbone e con l’editto di Nantes pose fine alle guerre di religione in Francia. Cioè Enrico il Grande capì che il paese doveva avere una riconciliazione e ritrovare l’unità intorno a quella che era comunque la fede maggioritaria e istituzionale nel regno.
Oggi la maggioranza dell’Italia e le sue istituzioni sono antifasciste. Lo sono profondamente perché l’Italia ha scritto una costituzione in un dialogo con i comunisti, che pure tifavano per Mosca. Alla costituente non c’erano fascisti. Non solo. La contabilità dell’orrore delle dittature è folle, ma aiuta dove la ragione fa fatica. Alla fine, dopo quasi mezzo secolo di tensioni, il comunismo sovietico si è arreso. In quei 50 anni le democrazie occidentali hanno battagliato ma anche ragionato e dialogato con il comunismo in una guerra rimasta per lo più fredda.
Invece, per sbarazzarsi del fascismo c’è voluta una guerra mondiale con distruzioni materiali e umane rimaste senza eguali. Durante la guerra fredda, i fascisti sono stati reclutati da una parte e dall’altra per schierarli contro gli avversari. Ma il cambio di casacca avrebbe dovuto essere un avviso anche a cambiare testa. Non era la legittimazione a restare fascisti dentro. Forse la signora il presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia (FdI) Giorgia Meloni potrebbe imparare una cosa o due da Enrico Vert-galant.
È importante per lei, il suo governo, ma ancora di più per l’Italia. La sua afonia sull’antifascismo legittima e apre le porte a ogni estremismo di sinistra. Lascia che l’antifascismo scivoli nelle mani di chi vuole usarlo come un randello contro istituzioni nate appunto antifasciste. Le proteste filo Hamas di questi giorni, le grida contro l’inno italiano a una manifestazione del 25 aprile, trovano una giustificazione speculare nella timidezza antifascista di governo, in certe fosche celebrazioni di terroristi neri, come se fossero stati meglio di quelli rossi.
Cioè se il presidente del consiglio e il suo partito non si lascia con chiarezza alle spalle l’eredità fascista si apre un problema di tenuta del paese. Si rischia di tornare alla stagione degli opposti estremismi. Ma il paese non regge, e certamente non regge il governo, peraltro sotto assedio per una finanza pubblica a pezzi e una guerra quasi alle porte in Ucraina e a Gaza. In questa assenza di Meloni, nella difesa scomposta oltre che inopportuna dell’eredità fascista del suo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, il ruolo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella si allarga e tutela il paese.
Ma Mattarella non può sostituire ogni volta le assenze marchiane altrui, e rischia invece di essere schiacciato nella morsa degli opposti estremismi. A quel punto nessuno si salva. L’amor di patria dovrebbe venire prima dell’amor di partito, perché Roma varrebbe bene lo sfascio del fascio. Del resto, l’Italia e le sue istituzioni attuali sono quelle che hanno permesso a Meloni di arrivare al governo. Istituzioni diverse, davvero fasciste, glielo avrebbero impedito.
Certo Meloni appartiene a un ampio movimento transnazionale che ha sdoganato culturalmente il fascismo e in questo modo ha legittimato l’estremismo sinistro della peggiore risma. Il fenomeno non è solo italiano ed europeo, ma arriva anche oltre atlantico e ha un centro nella Russia del presidente Vladimir Putin.
Ma con quella Russia l’occidente oggi è in guerra. E il 25 aprile l’astensione di FdI al voto della Ue sulle interferenze russe è stato un pessimo segnale.
Sarebbe importante che il 1° maggio Meloni riuscisse a dire e fare qualcosa di davvero antifascista. Lo farà?