Smettendo di acquistare combustibile fossile dalla Russia attraverso la Transnistria, Chisinau potrebbe causare il collasso degli apparati separatisti. Ma il rischio umanitario è consistente. E rimane l’incognita Cremlino
Una Moldavia pienamente sovrana, integrata nell’Unione Europea e senza truppe russe che stazionino al suo interno. È questo l’obiettivo di Chisinau, specialmente da quando le elezioni del 2020 hanno portato al potere l’attuale presidente (nonché ex primo ministro) Maia Sandu, che al contrario dei suoi predecessori più tendenti verso Oriente ha deciso di avvicinare la Moldavia al blocco europeo. Non a caso, negli ultimi anni Chisinau ha fatto passi da gigante nella lotta alla corruzione, nella riforma delle istituzioni pubbliche e nel rafforzamento della democrazia; parallelamente, l’integrazione della Moldavia con l’Europa andava avanti a gonfie vele in numerosi settori, tra cui quello energetico. Un settore strategico di per sé, ma che nel caso della Moldavia ha anche un valore aggiunto.
Fino ad ora, infatti, il Paese dell’Europa Orientale acquistava a buon mercato le risorse energetiche dalla Russia, utilizzando come intermediario la Transnistria, una regione separatista sganciatasi dalla Moldavia subito dopo l’ottenimento dell’indipendenza di quest’ultima negli anni’90. Anche grazie alla pressione esercitata dalle truppe russe, che sono ancora dispiegate sul posto, a tutela dello status quo. Questa forma di dipendenza energetica garantiva a Tiraspol (la capitale della regione separatista) sia un’ulteriore tutela della propria indipendenza che una fonte preziosissima di introiti, necessari per far funzionare l’apparato burocratico dello “Stato”.
Tuttavia, la situazione sembra essere sul punto di cambiare. Durante una conversazione con Politico, il ministro degli Esteri moldavo Mihai Popșoi ha dichiarato che: “La Moldavia non dipende più dalla Transnistria. Per quanto riguarda il gas, lo acquistiamo sul mercato internazionale. Per quanto riguarda l’elettricità, stiamo costruendo linee ad alta tensione per collegarci alla Romania”.
Per il momento, però, Chisinau preferisce continuare a “pagare il dazio” alla regione separatista, per pure questioni di realpolitik: l’interruzione dei pagamenti alla Transnistria farebbe crollare il bilancio dello Stato separatista e lascerebbe centinaia di migliaia di persone senza reddito e servizi di base. Una sfida che, per un Paese delle dimensioni della Moldova, sarebbe simile alla riunificazione della Germania dopo la caduta del Muro di Berlino. “Le élite della Transnistria riconoscono già che acquistiamo elettricità dalla regione non perché siamo obbligati a farlo, ma perché l’alternativa è gettare la regione in una crisi umanitaria”, ha affermato in un’intervista il ministro dell’Energia moldavo Victor Parlicov.
Tuttavia, il verificarsi di questa situazione potrebbe portare ad un collasso “pacifico del regime al potere in Transnistria” e a una riunificazione della Moldavia. “C’è un forte incentivo a reintegrare il Paese in modo pacifico. Risolvere il conflitto significa reintegrare completamente la Moldavia e farle assumere il controllo dei suoi confini sovrani”, ha dichiarato al riguardo Popșoi.
Il superamento di questo stallo permetterebbe a Chisinau di progredire nell’adesione all’Unione Europea: la Moldavia ha infatti ottenuto lo status di candidato all’Ue, e i colloqui per l’adesione al blocco sono in corso. Tuttavia, permangono dubbi sulla possibilità che l’adesione all’Unione Europea possa essere perfezionata mentre è in corso un “conflitto separatista”, e mentre le truppe russe stazionano sul suo territorio riconosciuto.
Tuttavia, è difficile credere che il regime al potere in Transnistria sia disposto ad accettare questo esito senza fare niente per evitarlo. A marzo, i suoi funzionari hanno chiesto al Cremlino di “proteggerlo dalle pressioni della Moldavia”, sostenendo che il Paese stesse attuando un blocco economico, nonostante il flusso quotidiano di beni e servizi che passa attraverso i posti di blocco russi. Mentre il Cremlino ha intensificato le operazioni di information warfare contro Chisinau, attaccando il suo sogno europeo con una retorica simile a quella usata contro l’Ucraina.
Ma al contrario dell’Ucraina, la capacità di intervento della Russia in Transnistria è molto limitata. Dal febbraio del 2022 le forze russe in loco sono state tagliate fuori dalle loro consuete linee di rifornimento. E il deposito di Cobasna, definito come uno dei più grandi arsenali d’Europa e sorvegliato proprio dai soldati russi, probabilmente non contiene il materiale necessario al contingente militare di Mosca per portare avanti operazioni belliche.
La leadership moldava è davanti a un bivio. Le sue scelte e le sue azioni, così come le loro conseguenze, potrebbero determinare la riunificazione del Paese dell’Europa Orientale e la sua adesione al progetto europeo, così da superare una volta per tutte la sua eredità post-sovietica. Ma a quale prezzo?