Il Pentagono diffonde le immagini dei lavori per creare il porto galleggiante del corridoio marittimo per Gaza. Nel momentum diplomatico, Washington si porta avanti sull’assistenza umanitaria. Anche i prodotti dell’iniziativa Food for Gaza saranno inviati tramite l’infrastruttura che sarà operativa tra pochi giorni
Una nave della US Navy e diverse altre dell’esercito sono coinvolte in uno sforzo a guida americana per portare più aiuti nella Striscia di Gaza — assediata da Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. La situazione umanitaria è critica, e per questo si rende necessario un lavoro straordinario per permettere di collegare l’enclave palestinese attraverso una piattaforma galleggiante, che — stando al briefing del Pentagono fatto lunedì (nella nottata italiana) — costerà almeno 320 milioni di dollari, ma permetterà un arrivo moltiplicato di diversi fattori a vari tipi di generi di prima necessità nella Striscia.
Non sfugge che quest’attività, e il suo racconto mediatico, si incastra perfettamente con il momentum diplomatico attorno alla guerra, con gli Stati Uniti che sono interessati anche alla strategia post bellica in Medio Oriente, ma sanno che prima devono intervenire sull’emergenza. Nel farlo, vanno anche a curare un altro fattore critico per loro stessi: la reazione di una minoranza — rumorosa con le proteste nei campus accademici, ma non limitata a quell’ambiente — che critica quello che viene percepito come un eccessivo appiattimento pro-israeliano da parte dell’amministrazione Biden.
Perché è vero che il 72% degli americani intervistati da Harvard-Harris sostiene che Israele dovrebbe procedere con l’operazione a Rafah (dove l’assalto militare rischia di creare un problema nel problema umanitario); ed è altrettanto vero che Washington non ha avuto una linea morbida con il governo israeliano (che tra l’altro l’amministrazione democratica statunitense considera distante anni luce dal proprio modo di vedere il mondo); ma è altrettanto vero che in periodo elettorale tutto conta.
Sabrina Singh, portavoce del Pentagono, ha dichiarato ai giornalisti che il costo del porto galleggiante è una stima approssimativa del progetto, e comprende il trasporto delle attrezzature e delle sezioni del molo dagli Stati Uniti alla costa di Gaza, nonché la costruzione e le operazioni di consegna degli aiuti. Sono dettagli che sembrano marginali, ma servono anche in questo caso a spiegare ai contribuenti (elettori) come e perché vengono spesi i fondi federali. Inoltre, Singh aggiunge l’elemento fondamentale in mezzo alle informazioni operative da nerd: lo stiamo facendo per aiutare i gazawi a superare la crisi.
Le foto satellitari diffuse da Planet Labs in questi giorni mostrano la USNS Roy Benavidez a circa 8 chilometri dal porto a terra (ossia sufficientemente a distanza dalla costa per garantire massima sicurezza a chi lavora al progetto), dove l’esercito israeliano sta costruendo la base operativa del progetto. L’USAV General Frank Besson Jr, una nave logistica dell’esercito, e diverse altre imbarcazioni sono con la Benavidez e stanno lavorando alla costruzione di quello che il Pentagono chiama il sistema “Joint Logistics Over-the-Shore” (acronimo tecnico: JLOTS).
I funzionari statunitensi e israeliani hanno dichiarato che sperano di avere il molo galleggiante in posizione, una strada sospesa collegata alla costa e l’avvio delle operazioni, entro l’inizio di maggio. Secondo il piano americano, gli aiuti saranno caricati su navi commerciali a Cipro per raggiungere la piattaforma galleggiante in costruzione al largo di Gaza – e questa connettività assume anche un valore geopolitico, nell’inquieto Mediterraneo orientale, appena oltre Suez e al destabilizzato Mar Rosso. I pallet arriveranno tramite portacontainer e saranno poi messi su camion, trasportati successivamente, tramite navi più piccole, che viaggeranno verso una strada rialzata galleggiante a due corsie. La strada rialzata sarà lunga 550 metri fissata alla riva dalle Forze di Difesa israeliane — che stanno già collaborando con i genieri americani.
Il nuovo scalo si trova a sud-ovest di Gaza City, un po’ più a nord della strada che divide Gaza e che l’esercito israeliano ha costruito durante gli attuali combattimenti contro Hamas. L’area era la più popolosa del territorio palestinese prima dell’offensiva di terra israeliana che ha spinto più di 1 milione di persone a sud verso la città di Rafah, al confine con l’Egitto – considerata l’ultima, sovraffollata roccaforte di Hamas, che Benjamin Netanyahu ha promesso di invadere anche se dovesse esserci un accordo per il rilascio degli ostaggi con Hamas (ma potrebbe essere stata un’affermazione dovuta più che programmatica).
Ora le postazioni militari israeliane si trovano ai lati del porto, che inizialmente era stato costruito, “nell’ambito di uno sforzo guidato dalla World Central Kitchen (WCK), con le macerie degli edifici rasi al suolo da Israele”, ricorda l’Associated Press. Le attività di WCK si sono interrotte dopo che un attacco aereo israeliano ha ucciso sette operatori umanitari dell’associazione, mentre viaggiavano su veicoli chiaramente contrassegnati in una missione di consegna autorizzata da Israele: era il 1° aprile, è stata una delle pagine più buie della guerra.
Domenica, il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha dichiarato che la quantità di aiuti destinati a Gaza continuerà ad aumentare. “Questo molo temporaneo fornirà un sistema di distribuzione da nave a terra che aumenterà ulteriormente il flusso di aiuti umanitari a Gaza”, dice il comunicato. Ma l’alto funzionario politico di Hamas Khalil al-Hayya ha sottolineato all’AP che il gruppo considererebbe le forze israeliane – o quelle di qualsiasi altro Paese – dislocate presso il molo per sorvegliarlo come “una forza di occupazione e di aggressione”, e che il gruppo militante vi si opporrebbe. Mercoledì, un attacco di mortaio ha preso di mira il sito del porto, anche se nessuno è rimasto ferito.
Sono parole e gesti di postura anche questi? Probabilmente sì, perché Hamas non può permettersi di rifiutare o intralciare gli aiuti. L’arrivo dell’assistenza umanitaria a Gaza è stato lento, con lunghe code di camion in attesa delle infinite ispezioni israeliane. Gli Stati Uniti e altre nazioni hanno anche utilizzato lanci aerei per inviare cibo a Gaza. Secondo gli Stati Uniti le consegne sulla rotta marittima inizialmente ammonteranno a circa 90 camion al giorno e potrebbero rapidamente aumentare a circa 150 camion al giorno. Nel progetto ci rientra anche l’iniziativa “Food for Gaza” del governo italiano – su cui ieri il vicepremier Antonio Tajani ha fatto il punto durante la riunione speciale del World Economic Forum ospitata a Riad.