Il deficit sulla soglia del 3%, se non oltre, per il quale stiamo di nuovo per finire sotto esame a Bruxelles e a Francoforte è anche un regalo di Monti e Grilli a Letta e Saccomanni.
Un pacco inviato a suo tempo dal premier in carica e dal ministro dell’Economia arrivato a destinazione adesso ai quasi ignari successori. La Bce ha spiegato che sul fabbisogno del 2013 pesa la restituzione dei debiti della pubblica amministrazione. Pochi hanno ricordato che l’operazione di smaltimento dei debiti commerciali dello Stato e degli enti pubblici in realtà pesa quasi interamente sul debito. Ma c’è una quota dei 40 miliardi, il 20% pari a otto miliardi, che invece pesa sul deficit.
Sono spese in conto capitale, per lo più appalti per la realizzazione di opere. Nel marzo scorso, quando la Commissione europea diede il via libera alla restituzione dei crediti che le aziende vantano nei confronti della Pa, cercò di farle pesare il meno possibile sul deficit. L’alternativa suggerita da Bruxelles era spalmarla in più anni. Magari solo in due.
Il governo in carica, invece, la mise tutta nel bilancio del 2013, portando il deficit/Pil previsto per l’anno dal 2,4% al 2,9%. Da un lato diede risorse ad un settore, quello delle costruzioni, che soffriva più di altri per l’insolvenza dello Stato, peraltro solo a causa di regola contabile che il presidente dell’Ance Paolo Guzzetti considera tuttora un «falso in bilancio». Dall’altro, il governo Monti, privò il suo successore qualsiasi spazio di manovra.
Zero margini di spesa, se non sforando la soglia europea del deficit. Se fosse stata spalmata in due anni, tanto per dare una misura, Saccomanni avrebbe avuto a disposizione per quest’anno circa quattro miliardi. Tanti quanti bastano all’eliminazione totale dell’Imu. Oppure alla sterilizzazione – senza troppi pensieri – dell’aumento dell’Iva per un anno.