Le proteste violente avvenute nella capitale georgiana simboleggiano il profondo frazionamento interno al Paese caucasico e alla sua società civile, divisa tra il desiderio di integrazione europea e il mantenimento dei legami con la Russia
Dopo un mese di accumulo, le tensioni in Georgia hanno raggiunto un picco. Mentre mercoledì 1° maggio il Parlamento di Tbilisi ha approvato nella seconda lettura (sulle tre previste dall’ordinamento giuridico georgiano) la “legge sugli agenti stranieri”, nelle strade attorno all’edificio si sono registrati scontri violenti tra manifestanti contrari alla legge e forze di polizia, con il ricorso da parte di queste ultime a cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e granate stordenti per mantenere il controllo della situazione. Secondo il ministero della Salute georgiano undici persone, tra cui sei agenti di polizia e il leader del partito d’opposizione “United National Moevement” Levan Khabeishvili, sarebbero state ospedalizzate in seguito alle violenze, mentre il ministero degli Interni riporta l’arresto di sessantatré persone.
Non è la prima volta che il progetto di legge, che richiederebbe alle organizzazioni che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come agenti di influenza straniera, entra nel dibattito politico. Già nel 2023 il “Georgian Dream”, il partito di maggioranza relativa in Parlamento, aveva proposto una norma simile, salvo poi ritirarla in seguito alle violente proteste che la proposta aveva causato. Ma lo scorso Aprile il “Georgian Dream” ha deciso di riprovarci, provocando una reazione speculare a quella dell’anno precedente: un numero sempre crescente di manifestanti è sceso in strada ogni notte per quasi un mese fino ad arrivare alle decine di migliaia di persone, facendo di questa protesta la più grande manifestazione antigovernativa mai organizzata. Tuttavia, nonostante l’entità delle proteste, fino ad ora non si erano registrati scontri di sorta.
La presidente georgiana Salome Zourabichvili ha descritto la repressione come “totalmente ingiustificata, immotivata e sproporzionata”, dichiarando che il governo è “pienamente responsabile” della violenza e che “il diritto di protesta pacifica è negato al popolo georgiano”. Zourabichvili, eletta con il sostegno di “Georgian Dream” ma sganciatasi da esso fin dall’inizio del suo mandato, si è schierata in netto contrasto alla proposta di legge. La presidente può rifiutarsi di firmare la legge, ma la Costituzione georgiana fornisce al governo strumenti per scavalcare questo blocco.
Parallelamente, anche i sostenitori della legge hanno organizzato un raduno a sostegno della misura, dove sarebbero affluite circa centomila persone. Tra cui l’oligarca Bidzina Ivanishvili, fondatore del “Georgian Dream” e personaggio di posizioni nettamente filorusse, che poche ore prima del verificarsi delle violenza ha tenuto un lungo discorso dai toni cospiratori e anti-occidentali, sostenendo che la Georgia non è governata da “autorità elette, ma da agenti stranieri”. Toni e parole che ricordano molto la retorica utilizzata da Mosca, che è anche l’ispiratrice della proposta in discussione in Georgia. Il Cremlino ha infatti approvato una legge simile nel 2012, sfruttandola per reprimere le attività di enti o individui non allineati al regime, come Memorial, Radio Free Europe, ma anche il giornalista e premio Nobel Dmitry Muratov. Secondo alcuni commentatori, il partito “Georgian Dream” vedrebbe nella legge un mezzo per limitare l’opposizione e massimizzare le possibilità di mantenere la maggioranza parlamentare nelle elezioni del prossimo autunno.
Ma per la parte della popolazione più vicina all’Europa, questa legge rappresenta una seria minaccia alle aspirazioni del Paese di entrare nel blocco e di riavvicinarsi alla Russia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un intervento su X, ha affermato che la Georgia è “a un bivio”, e che “il popolo georgiano vuole un futuro europeo per il suo Paese”.
Come però fa notare un funzionario dell’Unione, Bruxelles ha un margine d’azione molto limitato: se infatti l’Ue congelasse la candidatura della Georgia in risposta alla promulgazione della legge, essa “non farebbe altro che aumentare l’influenza russa nel Paese e fare il gioco del partito al potere. Il problema è che da un lato abbiamo un partito di governo problematico che attacca l’Ue e fa di tutto per opporsi all’adesione, pur dichiarando di voler entrare nell’Ue. Dall’altro lato, abbiamo una popolazione fortemente favorevole all’Ue. Quindi ci vuole equilibrio”.