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E se l’indeterminatezza di Elly si rivelasse vincente? Il commento di Cangini

All’indeterminatezza più assoluta non corrisponde una conseguente flessione nei sondaggi elettorali. È perciò probabile che chi si aspetta un tracollo del Pd e la conseguente “cacciata” di Schlein rimarrà deluso. Viene, di conseguenza, il sospetto che le vecchie regole della politica abbiano ormai perso il valore che avevano quando i social non esistevano, i partiti erano ancora cosa viva e le leadership non si improvvisavano ma, fase per fase, si costruivano nel tempo. Il commento di Andrea Cangini

E se avesse ragione Elly? Secondo le vecchie regole non scritte della politica, la strategia, se di strategia si può parlare, posta in essere dalla segretaria del Partito democratico Elly Schlein dovrebbe rivelarsi fallimentare. Con quale profilo politico, quale identità culturale, e quali intenzioni il Pd si presenti alle elezioni europee di giugno è, come fu detto dell’Unione Sovietica, “un rebus avvolto in un mistero all’interno di un enigma”.

Detta in una parola, l’indeterminatezza regna sovrana. E regna sovrana in modo particolare su due dossier decisivi per una forza di sinistra che ambisce a governare: le politiche sul lavoro e la politica estera e di difesa. Come è ormai noto, nel programma elettorale del Pd non figura la parola “Ucraina”. Svettano, però, nelle liste elettorali le candidature cosiddette “pacifiste” di Cecilia Strada e di Marco Tarquinio, entrambi fermamente contrari ad armare il popolo ucraino per consentirgli di non soccombere all’offensiva militare della Federazione russa di Vladimir Putin. Scelta che mal si concilia con il voto sempre favorevole espresso del Partito democratico in occasione della conversione dei decreti con cui il governo ha finanziato l’invio di armi all’Ucraina e con il fatto che i due terzi, per non dire i tre quarti, dei componenti le liste elettorali del partito sono rappresentati da esponenti dell’area cosiddetta riformista, decisamente favorevole alla linea strategica della Nato.

Cosa avrà voluto dire Elly? Tutto e il contrario di tutto, parrebbe. Non meno originale la posizione assunta sulle politiche del lavoro. È vero che Elly Schlein vinse le primarie del Pd con un programma che prevedeva l’abolizione del Jobs Act introdotto dal medesimo Pd ai tempi della segreteria Renzi. Ma nessuno si aspettava che, peraltro dopo Giuseppe Conte, Schlein avrebbe improvvisamente deciso di firmare il referendum abrogativo promosso dalla Cgil. E questa è la linea del partito? Si vuole davvero il ritorno all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Sì e no, dal momento che, cosa senza precedenti in materia politica piuttosto che etica, la segretaria ha lasciato ai dirigenti del proprio partito una sostanziale libertà di coscienza a riguardo. Potete firmare o non firmare il referendum di Landini: fate voi.

Siamo, come si vede, ben oltre il “ma anche” imputato a Walter Veltroni quand’era segretario. Siamo nell’indeterminatezza più assoluta. Indeterminatezza a cui, però, non corrisponde una conseguente flessione nei sondaggi elettorali. È perciò probabile che chi si aspetta un tracollo del Pd e la conseguente “cacciata” di Schlein rimarrà deluso. Viene, di conseguenza, il sospetto che le vecchie regole della politica abbiano ormai perso il valore che avevano quando i social non esistevano, i partiti erano ancora cosa viva e le leadership non si improvvisavano ma, fase per fase, si costruivano nel tempo.



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