Torino sperimentale 1959-1969
Torino, Sala Bolaffi
fino al 9 maggio
L’idea di ricostruire in una nuova prospettiva storica un decennio cruciale non solo per Torino ma per il sistema delle arti, ha originato una mostra-laboratorio: dipinti, sculture, gigantografie e fotografie forniscono al visitatore lo spunto per approfondimenti attraverso documenti, filmati, immagini e audiovisivi rappresentativi dei temi di questo insolito e multiforme “viaggio nel tempo”. La prima sezione “Generazioni”, al primo piano della Sala Bolaffi, introduce di fatto il percorso ideale della mostra con Felice Casorati e Giulio Paolini a definire i due poli temporali (’59-’69) e le generazioni coinvolte, suggerendo i termini delle svolte e dei cambiamenti. Seguono poi “Apolidi ed eccentrici” in una sezione che evidenzia il ruolo di Torino come ambiente catalizzatore di figure originalissime come quella di Carol Rama e come patria d’elezione di molti artisti. Città aperta all’arte internazionale, raccontata nella terza sezione che mette a confronto gli stili di autori come Franz Kline, Georges Mathieu, Louise Nevelson, Kazuo Shiraga e prende il nome dall´esposizione “L´incontro di Torino” del 1962, che rappresentò un momento riassuntivo della rete di relazioni costruita da Michel Tapié. Oppure “La città dei grandi eventi” che la quarta sezione descrive partendo dalle incredibili attività celebrative del primo centenario dell’Unità d’Italia, con le grandi architetture di Pier Luigi Nervi e le spettacolari installazioni di Lucio Fontana e Fausto Melotti,, ma anche l’assidua presenza del Living Theatre, a contribuire all’idea di una pratica artistica intesa come processualità e contaminazione di generi e materiali. La quinta sezione “Il Museo sperimentale e il sistema dell´avanguardia”, ripercorre le relazioni tra l´attività della Galleria d´Arte Moderna, gli spazi sperimentali e le gallerie private, esemplificate attraverso le ricerche di artisti come Aldo Mondino, Sandro De Alexandris, Emilio Scanavino, ma anche dei collettivi artistici e le performance di Ben Vautier con Ugo Nespolo, Plinio Martelli e Gianni Emilio Simonetti. Infine le “Nuove identità” di artisti come Alighiero Boetti, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Giuseppe Penone, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, che confermano Torino come un vitale laboratorio della contemporaneità
Roy Lichtenstein
Milano, Triennale
fino al 30 maggio
Per la mostra di Roy Lichtenstein sono arrivate a Milano oltre cento opere, tele per lo più di grande formato, oltre a numerosi disegni, collages e sculture provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali, tra le quali il Ludwig Museum di Colonia, il Ludwig Forum di Aachen, il Louisiana Museum di Copenaghen, il Whitney Museum e il Gugghenheim Museum di New York, il Moderner Kunst Museum di Vienna, the Broad Art Foundation di Los Angeles. Il curatore, Gianni Mercurio, già noto per aver tra l’altro firmato alla Triennale di Milano esposizioni dedicate ad Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, ha ideato una retrospettiva di Lichtenstein che per la prima volta fa il punto sulle opere che l’artista pop ha realizzato appropriandosi delle immagini provenienti dalla storia dell’arte moderna. È la prima volta che la mostra esplora in modo organico e completo questo significativo aspetto del lavoro di Lichtenstein, che mette in luce il debito che il Postmoderno ha nei confronti della sua opera. La mostra, suddivisa in sezioni tematiche, parte dai lavori degli anni ’50, poco conosciuti e molti di essi esposti per la prima volta, nei quali l’artista rivisitava iconografie medievali e reinterpretava dipinti di artisti americani come William Ranney ed opere come Washington Crossing The Delaware del pittore Emanuel Gottlieb Leutze, ricalcando gli stilemi espressivi dell’astrattismo europeo e, in particolare, gli universi di Paul Klee e di Picasso. In questa fase della sua produzione l’artista mescolava il modernismo proveniente dall’Europa con i vernacoli della storia e della cultura americana: gli indiani e il Far West, le scene di vita dei pionieri alla conquista delle terre, gli eroi e i cow-boy. Nel periodo eroico della Pop Art, i primissimi anni sessanta, Lichtenstein definisce il proprio stile e linguaggio pittorico, e inizia una rivisitazione di opere celebri di artisti del passato più o meno recente. La rielaborazione di opere di Picasso, Matisse, Monet, Cézanne, Léger, Marc, Mondrian, Dalì, Carrà, è concepita a partire dalle pubblicazioni a scopo divulgativo: un modo per riportare (ridurre) la dimensione ineffabile della pittura a quella di “oggetto stampato” e commercializzato. Le sezioni della mostra comprendono opere realizzate dagli anni Cinquanta agli anni Novanta e ispirate al Cubismo, all’Espressionismo, al Futurismo, al Modernismo degli anni ’30, all’astrazione minimalista, all’Action Painting, e ai generi del paesaggio e della natura morta.
Gerhard Richter
Firenze, Palazzo Strozzi
fino al 25 aprile
Organizzata in collaborazione con la Kunsthalle di Amburgo, l’esposizione presenta undici opere di Gerhard Richter (Germania, 1932), uno dei più importanti artisti della seconda metà del Novecento, “dialogando” con quelle di sette artisti contemporanei (Lorenzo Banci, Marc Breslin, Antony Gormley, Roger Hiorns, Scott Short, Wolfgang Tillmans, Xie Nanxing) legati allo stesso Richter da una profonda sfiducia nei confronti dell’immagine come veicolo di verità. Il tema dell’esposizione è la dissoluzione dell’immagine: Richter ha fatto di questo concetto uno dei paradigmi del suo lavoro e ha posto le fondamenta per quello degli artisti della nuova generazione. Pioniere nel portare all’estremo la dissoluzione sia della figura che della tecnica pittorica stessa, dipinge sopra fotografie originali o usa una particolare tecnica di pittura sfocata. Come punto di partenza, Richter seleziona deliberatamente soggetti comuni o casuali. Ben consapevole del potere delle immagini, egli si sforza di rompere o piuttosto di mettere in dubbio la loro chiarezza, facendo emergere o scomparire le immagini stesse. Gioca con la realtà e la sua apparenza e converte le immagini figurative in astratte, focalizzando la sua attenzione, per esempio, su dettagli minori. Ha posto come base del suo lavoro l’uso di immagini esistenti, sia per poter trasferire le caratteristiche da un medium a un altro, sia per utilizzare differenti generi su uno stesso piano. Richter indirizza la differenza che esiste tra la percezione soggettiva e l’esperienza oggettiva della realtà, nel luogo in cui solo la pratica artistica può offrire possibili approcci, all’interno cioè della difficile relazione esistente tra l’oggetto e la sua rappresentazione.In dialogo con il lavoro di Richter sette artisti contemporanei che nella loro carriera si sono concentrati sul tema della dissoluzione dell’immagine. Il lavoro di ciascuno verrà presentato in uno spazio proprio, permettendo così, pur all’interno del contesto unitario della mostra, di mantenere le specificità delle rispettive ricerche. Oltre agli artisti inglesi Antony Gormley e Roger Hiorns (quest’ultimo scelto nella rosa dei candidati per il Turner Prize 2009) sono presenti gli statunitensi Marc Breslin e Scott Short, il cinese Xie Nanxing, l’italiano Lorenzo Banci e il tedesco Wolfgang Tillmans.
Charlotte Bonaparte
Roma, Museo Napoleonico
fino al 18 aprile
Amante dell´arte, animatrice di salotti intellettuali e artista a sua volta, femme artiste e salonnière, Charlotte, figlia di Giuseppe, fratello maggiore di Napoleone, ha espresso una cultura aperta e cosmopolita alimentata da una fitta rete di scambi e relazioni con personalità della vita artistica e culturale degli anni della Restaurazione. Al Museo Napoleonico di Roma è conservato un importante nucleo di album di Charlotte, che contengono suoi disegni, acquerelli, incisioni, oltre ad opere del marito Napoleone Luigi e dei tanti artisti che la principessa Bonaparte incontrò in Francia, in Italia – a Roma e a Firenze – e nel corso dei suoi numerosi viaggi, in Germania, Belgio, Inghilterra e Stati Uniti. Il percorso espositivo consente di ripercorrere le tappe della vita della principessa Charlotte, inquieta, travagliata e breve, attraverso diverse sezioni, ognuna delle quali dedicata ad un particolare momento. Dall’infanzia – condivisa con la sorella maggiore Zenaïde tra gli obblighi di corte e l’aspirazione ad una vita tranquilla – evocata dai disegni di Charlotte e dai ritratti ufficiali, commissionati a Wicar e Lefèvre agli anni dell’esilio a Francoforte e Bruxelles, decisivi per la formazione artistica di Charlotte, che nella città belga studia disegno con David che la ritrae con la sorella. Per raggiungere il padre in esilio si recò negli Stati Uniti dove a Filadelfia frequentò la locale Accademia di Belle Arti. Tornata in Italia visse fra Roma e Firenze recandosi nel 1833 a Londra per una riunione di tutti i Bonaparte. Particolarmente significativi per la sua vocazione artistica questi anni come testimoniano le presenze nei suoi album di opere degli artisti italiani e stranieri più in voga all’epoca. La mostra dedicata a Charlotte Bonaparte (1802-1839) propone il ritratto di una donna intelligente e colta, dal carattere dolce e sensibile, in gran parte ancora inedito. Una principessa protagonista dei difficili anni della diaspora e dell’esilio dei Bonaparte, consapevole della propria appartenenza alla famiglia imperiale ma anche nutrita da legami con personaggi, artisti e intellettuali che ne arricchiscono i tratti culturali e umani.
Miracula in Vitro
Lipari (Me), Museo Archeologico
fino al 18 aprile
E’ la raccolta di dipinti su vetro della Collezione Bernabò Brea-Cavalier, (collocati quasi tutti entro cornici a guantiera meccata ad argento e oro), documento preziosissimo della cultura pittorica dell’Ottocento meridionale (campano, pugliese, siciliano), oggetto di accurati studi da parte di studiosi di letteratura, folklore e antropologia, finalmente visibile al pubblico. Opere provenienti da botteghe meridionali, con una produzione che si inquadra in quella che viene denominata la pittura devozionale. Uno straordinario patrimonio figurativo popolare meridionale, con iconografia mariana e devozionale.