Skip to main content

Così Riad si immagina globale tra Usa, Cina e Ue

Il capo della Alat lancia un messaggio: Riad potrebbe operare un de-risking dalla Cina se gli Usa lo chiedessero. All’interno di questo pensiero saudita si aprono maggiori spazi anche per l’Ue, che intanto consolida le relazioni tramite una Camera di commercio. Ecco la dimensione in cui si muove il Regno “globale” di bin Salman

La prima Camera di Commercio Europea nel Golfo è stata inaugurata nei giorni scorsi a Riad con un evento a cui hanno partecipato funzionari governativi di alto livello del Regno e dell’Unione, e dozzine di stakeholder della business community che opera nel Mediterraneo allargato. “Siamo convinti che aiuterà tante nuove imprese, soprattutto le piccole e medie, a intercettare nuove opportunità nel grande programma di investimenti Vision 2030”, spiega Luigi Di Maio, rappresentante speciale per la Regione del Golfo dell’Ue, il cui team ha lavorato per portare a compimento il progetto, perché “l’apertura delle camere di commercio europee nel Golfo è un altro tassello della nuova strategia dell’Unione Europea”.

Reciprocamente, Riad vede nel business europeo ampie opportunità di crescita, anche nell’ottica di una politica estera multi dimensionale e multi allineata. “L’Arabia Saudita è un partner economico e diplomatico sempre più importante per l’Europa e svolge un ruolo fondamentale nelle conversazioni globali sul cambiamento climatico, la connettività e l’energia”, ricorda Cinzia Bianco, tra i massimi esperti internazionali di Golfo Persico, in forza all’Ecfr.

A seguito dei cambiamenti geopolitici innescati dall’invasione russa dell’Ucraina, e come effetto di un parziale calo del coinvolgimento occidentale nella regione Medio Oriente e Nord Africa, l’Arabia Saudita ha sfruttato il proprio capitale energetico, finanziario e politico per diventare una media potenza in grado di esercitare una propria influenza nel mondo multipolare che si sta creando. “Ciò è stato aiutato dal fatto che molte delle [grandi] potenze, tra cui Cina, India e Russia, hanno iniziato a corteggiare attivamente il regno come nuovo perno regionale”, spiega Bianco. E Riad ha adottato un approccio di politica estera di “opportunistic actionism” (qui il termine “azionismo” è molto simile a iperattività), caratterizzato dal dinamismo e guidato dal perseguimento dei suoi immediati interessi nazionali.

“L’Arabia Saudita sta lavorando per diventare il fulcro della regione e ottenere un posto al tavolo globale come rappresentante di un Medio Oriente economicamente connesso e stabile. A livello globale, sta costruendo relazioni transazionali con vari Paesi in base a diversi interessi e vulnerabilità, spiega Bianco, autrice del policy brief “Global Saudi: How Europeans can work with an evolving kingdom. L’analisi suggerisce ai policy maker dell’Ue e dei Paesi membri che per rafforzare la loro posizione nei confronti del regno, gli europei “dovrebbero coinvolgere più attivamente Riad nelle conversazioni globali, ad esempio sul de-risking, e concentrarsi sul diventare partner per scelte in aree di interesse comune, come l’energia, il clima, l’economia e la connettività e la tecnologia”.

La leadership saudita, non diversamente dalle altre nella regione, guarda all’esterno percependo la strutturazione di quell’ordine mondiale multipolare come fattore di convenienza. Vedono per Riad un ruolo da ponte tra Oriente e Occidente, e tra il nord globale e il sud globale. Rifiutano l’idea che dovrebbero allinearsi con i tradizionali partner occidentali nella rivalità con la Russia o la Cina. Selezionano, di conseguenza, i partner a secondo degli interessi e nell’ottica del multi-allineamento. In questo pragmatismo non c’è presunzione di eccessiva grandezza però, tanto che questa settimana il capo di Alat, struttura finanziaria che l’Arabia Saudita ha dedicato ai progetti sulla tecnologia dei semiconduttori e sull’intelligenza artificiale (budget: 100 miliardi di dollari), ha lanciato una bomba, suggerendo che Riad avrebbe disinvestito dalla Cina se richiesto dal governo degli Stati Uniti.

“Finora le richieste [degli Stati Uniti] sono state quelle di mantenere la produzione e le catene di approvvigionamento completamente separate, ma se le partnership con la Cina diventassero un problema per gli Stati Uniti, cederemmo”, ha detto Amit Midha a Bloomberg.

Il regno vuole diventare una super potenza globale dell’AI, sia per assicurare ai propri cittadini una prosperità iper moderna (parte del patto sociale su cui si basa il regno venturo di Mohammed bin Salman), sia per scalare il primato tecnologico globale (e creare una seconda identità, per far riconoscere l’Arabia Saudita come un hi-tech state, oltre che il regno protettore dei luoghi sacri dell’Islam: potere secolare e temporale connessi nello stesso luogo). Per farlo, Riad comprende che servano partnership molto ampie, ma guarda anche con realismo all’articolazione delle stesse.

La scelta eventuale di cui parla Midha non è infatti soltanto frutto di una considerazione di carattere (geo)politico, ma è pragmatica. Se dovessero esserci pressioni per una mossa binaria, allora Riad non avrebbe dubbi a scegliere gli Usa, perché tecnologie come quelle di OpenAI o Google sono molto più avanzate di quelle cinesi. Nell’eventuale de-risking, i sauditi pensano innanzitutto alla loro prosperità (come logico) e non a scelte di campo ideologiche o idealistiche. Midha, che difficilmente ha parlato con Bloomberg senza che il suo pensiero fosse condiviso dal resto della leadership saudita, è stato chiaro: “Gli Stati Uniti sono il partner numero uno per noi e il mercato numero uno per l’intelligenza artificiale, i chip e l’industria dei semiconduttori”.

A Riad si percepisce il clima. Le misure statunitensi sui chip sono una questione globale, l’export control per limitare la capacità della Cina di sviluppare un’AI avanzata ha riflessi internazionali, e hanno un peso sulle decisioni degli altri Paesi nei confronti della Cina. Abu Dhabi ha già testato però che disinvestire da Pechino può creare opportunità, come racconta l’accordo tra Microsoft e G42 . Washington non teme solo di essere superata nella competizione tecnologica dai cinesi, ma teme che nel sorpasso permesso tramite partnership con i propri alleati terzi come Riad, Pechino possa avvantaggiarsi ottenendo in qualche modo pezzi di tecnologia americana.

Nel 2023, un accordo tra il gigante statunitense degli armamenti RTX e la società di difesa dell’Arabia Saudita, Scopa Industries, è crollato a causa del legame di quest’ultima con aziende russe e cinesi — e il timore proprio di passaggi di tecnologie. Gli Stati Uniti hanno anche implementato misure temporanee di controllo delle esportazioni in Arabia Saudita per i semiconduttori della Nvidia (i migliori sul mercato). Preoccupazioni per le informazioni sensibili trapelate in Cina o in Russia impediscono anche all’Arabia Saudita di aderire al Global Combat Air Program, insieme a Regno Unito, Italia e Giappone per sviluppare ed esportare un jet da combattimento di sesta generazione.

In questo quadro, è evidente che le preoccupazioni di Washington sarebbero comunque minori se Riad approfondisse le relazioni con partner like-minded come gli europei, ma in Europa al momento non c’è niente delle dimensioni di Huawei o Alibaba Cloud (in termini di rapporto costo/efficienza soprattutto) da poter offrire. E questo è uno degli elementi che porta a dedurre che lo slancio di Midha avrà, quanto meno nel breve termine, effetto limitato. La consapevolezza che fosse in corso una competizione tecnologica prossima allo scontro è chiara da anni, ma ciò nonostante nell’ultimo lustro le aziende cinesi e dell’hi-tech hanno comunque incrementato la loro presenza in Arabia Saudita e nella regione.

Ciò fa pensare che Riad non finirà impantanato nel confronto sino-americano. Piuttosto, in caso di azione di bilanciamento e mosse di de-resking, i sauditi chiederanno contrappesi in cambio. E non è detto che le parole di Midha non contengano anche un messaggio in questo senso. Gli Stati Uniti stanno negoziando con il regno quello che viene chiamato “mega-deal, un accordo che dovrebbe comprendere una partnership ancora più stretta sulla difesa (un’architettura che Riad ha visto all’opera, in tutta la sua efficienza, quando l’Iran ha provato ad attaccare Israele) e la tecnologia nucleare (su cui l’Arabia Saudita lavora in parte già con la Cina). Ed è in questo giro di offerte, contro-offerte e necessità che si trovano anche gli spazi per l’Europa.

×

Iscriviti alla newsletter