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L’eccezione non fa la regola

Il dibattito sul tema delle infrastrutture in Italia tende generalmente a trovare convergenza sulla tesi del forte ritardo che avrebbe il Paese in termini di dotazione infrastrutturale rispetto ai principali Paesi dell’Unione europea. In particolare, molti economisti attribuiscono alla riduzione di risorse finanziarie destinate ad investimenti in infrastrutture i bassi livelli di crescita registrati nel nostro Paese negli ultimi decenni. Tuttavia, se concentriamo l’attenzione sul settore delle infrastrutture di trasporto, che maggiormente influenzano l’efficienza della catena logistica e la competitività industriale, appare evidente da alcuni semplici confronti internazionali come la valutazione del livello di dotazione infrastrutturale di un territorio sia fortemente condizionata dai metodi e dagli indicatori scelti per misurarlo. Inoltre la realizzazione di infrastrutture è condizione necessaria ma non sufficiente per garantire più crescita economica.
Non tanto l’aumento della spesa in infrastrutture quanto l’efficienza delle scelte allocative appare il vero fattore critico di successo. Sotto tale profilo uno dei più gravi ritardi che caratterizza il nostro Paese riguarda l’utilizzazione sistematica della valutazione preventiva, basata su metodologie condivise, per favorire l’allocazione ottimale e trasparente delle (scarse) risorse pubbliche.Il caso della Torino-Lione dimostra inoltre come a tali considerazioni sia altresì legato il complesso problema della gestione del consenso. Anche in questo caso la valutazione ex ante garantisce ai portatori di interessi contrapposti il riferimento su cui confrontarsi per definire le compensazioni che riflettano le disutilità che la comunità prescelta deve sopportare.
Nonostante l’accelerazione degli ultimi anni, gli interventi normativi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure per la realizzazione di infrastrutture pubbliche (prima fra tutte la Legge obiettivo) hanno prodotto risultati inferiori a quelli attesi. Il decentramento e un’attribuzione né chiara né univoca di competenze tra i diversi livelli decisionali rappresentano per il nostro Paese un elemento di complessità unico a livello internazionale. Sebbene il quadro normativo nazionale preveda momenti valutativi a supporto delle decisioni (primo fra tutti lo studio di fattibilità), questi non dettagliano sufficientemente gli aspetti metodologici ad essi collegati. Pertanto, la stessa definizione di “strategicità” di un’opera è spesso legata a un processo non sempre trasparente in quanto non è assicurata la comparabilità tra scelte di investimento alternative. L’incertezza normativa e regolatoria, inoltre, ha reso più difficile il reperimento di capitali privati che avrebbero accelerato la realizzazione di investimenti. Nell’esperienza internazionale è possibile individuare due “approcci” alle opere pubbliche: il primo è riconducibile al Regno Unito e alla Francia, nel quale il focus della decisione è sul singolo progetto; il secondo (Germania, Svezia, Olanda e in parte Regno Unito), prevede una più forte regia centrale dell’amministrazione centrale nelle scelte infrastrutturali.
 
Rispetto a tali esperienze, qualità delle metodologie, trasparenza delle scelte e previsione di momenti di concertazione/partecipazione degli stakeholder distanziano il nostro Paese dalle migliori pratiche internazionali. Sotto tale profilo, l’Italia, inoltre, appare un unicum per almeno quattro motivi:– la programmazione delle politiche di trasporto e delle relative scelte di investimento non sempre considera le implicazioni di carattere intermodale;– il ruolo della valutazione appare debole sia nella fase di disegno delle politiche sia a livello di singolo progetto;– la mancanza di linee guida metodologiche univoche per la valutazione economica degli investimenti pone un serio problema di confrontabilità tra investimenti diversi;– la quasi totale assenza di momenti partecipativi rende complessa la gestione dell’eventuale dissenso che spesso è generato da “grandi opere” con un riflesso negativo sui tempi di realizzazione e sui costi progettuali.
Quali sono allora le priorità per il nostro Paese?– La traduzione delle strategie generali (es. favorire il cambio modale) da parte del decisore pubblico in prezzi ombra coerenti con gli obiettivi perseguiti. Nel fare ciò, le scelte andrebbero condivise all’interno di percorsi partecipativi-informativi istituzionalizzati;– una trasparente individuazione dei progetti “prioritari” da includere in un Piano nazionale complessivo attraverso un’analisi costi-benefici semplificata effettuata sulla base di linee guida condivise; – una valutazione più approfondita delle scelte progettuali di dettaglio (da parte dei soggetti proponenti o di valutatori indipendenti), sempre sulla base della metodologia standard definita a livello nazionale; – l’istituzionalizzazione della valutazione ex post. È fondamentale renderla obbligatoria per rivedere gli input delle valutazioni sulla base di dati “certi”.
L’impegno vincolante del pareggio di bilancio entro il 2014 richiede tagli importanti alla spesa pubblica nazionale, pertanto il recupero di efficienza dell’impiego delle risorse è un tema non più eludibile. Il rafforzamento della valutazione ex ante ed ex post è l’unica via per definire quali siano gli investimenti prioritari per il sistema Italia. Questo, oltre a rendere trasparente e consapevole il processo di finanziamento delle opere pubbliche, garantirebbe una base “chiara” sulla quale articolare il confronto con gli stakeholder con positivi effetti su costi e tempi di realizzazione. Naturalmente la coerenza teorica e legislativa dei sistemi analizzati e delle proposte di policy non sono di per sé sufficienti a prevenire l’arbitrarietà delle scelte politiche né la forza di lobby capaci di pilotare le scelte anche al di fuori degli spazi consentiti dal dibattito pubblico. Tuttavia, certamente un processo di valutazione formalizzato e corretto riduce o perlomeno esplicita tali comportamenti.


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