Il livello dell’affluenza per le elezioni europee è storicamente molto basso. Abbiamo perso oltre dieci punti percentuali di “appeal” negli ultimi anni. Questo si traduce in un progressivo disamoramento rispetto al progetto europeo nel suo complesso. E la discesa in campo dei leader non aiuterà a migliorare le cose. Colloquio con Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos
Che le elezioni europee non avessero un particolare appeal sull’elettorato era cosa abbastanza nota. Che, però, l’affluenza alle urne sia scesa di più di dieci punti percentuali in poco più di dieci anni è abbastanza preoccupante. Una tendenza che, in una certa misura, rispecchia la “disaffezione al progetto europeo maturata nel corso degli ultimi anni”. È la fotografia che emerge da una delle ultime rilevazioni di Ipsos, raccontata a Formiche.net dal suo direttore scientifico, Enzo Risso.
Qual è il momento storico in cui le europee hanno iniziato a perdere di appeal sugli elettori?
Diciamo che, storicamente, dal 1979, l’appuntamento elettorale per le europee inizia a perdere di interesse agli occhi degli elettori. E, in parte, l’andamento dei flussi elettorali per le consultazioni in Ue anticipa quello che si registrerà progressivamente anche alle politiche, benché comunque in linea di massima abbiano – ancora oggi – un livello di partecipazione più elevato.
Andiamo ai numeri.
Nel 1979 alle politiche partecipa il 90% dell’elettorato, mentre alle europee si registra una flessione che porta il valore a poco più di 86 punti percentuali. Di lì, sarà una discesa costante. Il punto di svolta è il 1994. Mentre alle Politiche partecipa l’86% degli elettori aventi diritto, alle europee la percentuale scende sotto il 75%. Ben dodici punti di scarto. È un segnale molto chiaro di disaffezione.
Nel 2001, un altro anno cruciale, anche la percentuale dei votanti alle politiche fu più ridimensionata rispetto alle precedenti.
Sì, ma il calo più evidente si registrò tra il 2013 e il 2014. Se per le politiche votò il 75% degli elettori, per le europee la percentuale scese al 58%. Nel 2019, il punto più basso, si scese di altri due punti. Così come le politiche del 2022 sono state le meno partecipate della storia Repubblicana, con il 66% di votanti.
Quali sono le ragioni principali di queste flessioni?
Sono sostanzialmente due, riconducibili alle elezioni europee. Negli ultimi anni la disaffezione all’appuntamento con le urne corrisponde a una disaffezione diffusa rispetto al progetto europeo. E non è un caso che dal 2009 al 2019 abbiamo perso dieci punti percentuali. I dati sulla fiducia nell’Europa parlano chiaro. Se nel 2009 la fiducia era oltre il 70%, nel 2019 il dato è attestato al 41%. In più c’è un dato legato alla natura dell’appuntamento elettorale e al tipo di elettorato che risponde all’appello delle urne.
Cosa intende dire?
Le elezioni politiche, da sempre, riescono a stimolare un voto più “fidelizzato” verso il leader. Ed ecco perché la partecipazione è tendenzialmente più alta: si muovono le “tifoserie”.
Pensa che alla luce di una lieve inversione di tendenza sulla fiducia nel progetto europeo, possa esserci anche un maggior afflusso alle urne l’8 e 9 giugno?
Non credo, purtroppo. E le proiezioni non sono molto rassicuranti sotto questo profilo.
Neanche la discesa in campo dei leader di alcuni fra i principali partiti può aiutare in questo senso?
Il loro intendimento è proprio quello di smuovere le tifoserie ma temo che il risultato non sarà quello che alcuni di loro immagino si aspettino. Questa dinamica elettorale tanto vale per le politiche, quanto non vale per le europee.
Non c’è il rischio che, esponendosi in prima persona salvo poi non ottemperare ai loro doveri (qualora venissero eletti), i leader perdano di credibilità?
Diciamo che questo è un rischio molto marginale. Lo può correre un leader che si rivolge a un elettorato molto attento.