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Auto elettriche, sui dazi contro la Cina l’Europa si smarca

​Con Stellantis pronta a vendere veicoli a marchio cinese e l’Ungheria nuovo avamposto del Dragone, Bruxelles si interroga sul da farsi per arginare l’avanzata di Pechino. Ma fare come gli Stati Uniti non sembra essere al momento la via maestra

La Cina ha ormai un piede, o meglio una ruota, in Europa. Da settembre Stellantis comincerà a vendere in giro per il Vecchio continente auto elettriche a marchio cinese, Leapmotor per la precisione, prodotte in Polonia. Il gruppo franco-italiano, frutto delle nozze tra Fca e Psa, ha infatti concluso un accordo con la casa cinese di Hangzhou. L’export, quanto all’Europa, partirà a settembre 2024 da nove Paesi, tra cui Italia, Belgio, Francia, Spagna e Portogallo, contando su una rete di 200 rivenditori.

L’Italia diventa quindi semplice bacino di vendita, anche perché Stellantis ha scelto la Polonia come sito europeo per assemblare le auto di Leapmotor. Lo stabilimento polacco di Tychy ha d’altronde il vantaggio di garantire costi del lavoro più bassi per un prodotto progettato per essere accessibile a un’ampia gamma di clienti. E il lavoro di assemblamento di un’elettrica non necessita di professionalità particolarmente strutturate come quelle che è in grado di offrire l’area torinese.

Gli Stati Uniti, che di solito giocano con largo anticipo, hanno mantenuto la tradizione, anche perché sono mesi che accusano, a buona ragione, la Cina di concorrenza sleale: le auto elettriche del Dragone costano troppo poco e per questo distorcono il mercato. Washington è corsa ai ripari con dazi di oltre il 100% sulle auto elettriche, del 25% sulle batterie al litio, del 50% su chip e pannelli solari. E ancora dazi su prodotti medicali, minerali critici, acciaio. “I nuovi dazi proteggeranno i nostri lavoratori da pratiche commerciali sleali”, aveva tuonato giorni fa il presidente Usa, Joe Biden. Al di là della retorica, le nuove misure colpiscono circa 18 miliardi di dollari di merci, secondo le stime della Casa Bianca.

I numeri sono dalla parte di Biden. Nel 2023, l’export cinese negli Usa è stato pari a 427 miliardi di dollari e nel primo trimestre del 2024, Geely è stata l’unica casa cinese a esportare con il proprio marchio negli Stati Uniti, dove ha venduto 2.217 veicoli. Altre 60mila vetture fabbricate in Cina sono arrivate nel Paese, ma sotto brand Usa, soprattutto Buick. E l’Europa? Bruxelles, che sulle auto elettriche cinesi ha già aperto un dossier, avviando un’indagine sui sussidi governativi di Pechino alle case automobilistiche nazionali, non può certo ignorare il problema.

Byd, principale costruttore del Dragone, sta per realizzare in Ungheria la sua gigantesca fabbrica, con il placet di Budapest e del suo governo. E la Polonia è futuro hub dei veicoli Leapmotor commercializzati da Stellantis. Ma il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, non sembra essere troppo convinto di voler seguire la strada americana. “Prendiamo atto della decisione annunciata dal presidente Usa” sui dazi contro alcuni prodotti cinesi. Dal nostro lato le indagini stanno andando avanti, sui veicoli elettrici e sulle turbine eoliche. Tutto questo non significa che sceglieremo la stessa reazione. La nostra esperienza mostra che nonostante queste tensioni le relazioni commerciali tra Usa e Cina sono state affette ma non interrotte, quindi non c’è un disaccoppiamento. L’interesse dell’Ue è avere un sicuro quadro commerciale e non incoraggiare la fine di questo ambiente commerciale globale”.

Qualche dubbio ce l’ha anche Agatha Kratz, direttrice del centro di ricerca Rhodium Group, che dalle colonne della Cnn ha affermato che l’aumento delle tariffe statunitensi sui veicoli elettrici cinesi rende “più facile per l’Ue portare le sue tariffe fino al 30%, triplicando il livello attuale. Ma sarebbe molto difficile per Bruxelles eguagliare le tariffe statunitensi. L’Ue non può giustificare un aumento molto più alto (oltre il 30%) poiché i dazi devono essere allineati con i risultati dell’indagine sull’entità delle sovvenzioni in Cina”. Ciò significa che Bruxelles dovrà esplorare altri strumenti e strumenti difensivi per cercare di arginare il flusso di veicoli elettrici fabbricati in Cina che arrivano in Europa.

 



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