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Strategie di buon vicinato

È un dato di fatto con cui è necessario misurare qualsiasi analisi politica ed economica del Medio Oriente. Il Qatar, grazie ad una politica attenta e misurata di sviluppo industriale e, soprattutto, di sfruttamento delle sue immense risorse di gas naturale, è oggi l’attore principale delle dinamiche geopolitiche regionali. Le immense riserve finanziarie e la capacità politica del sovrano, Hamad bin Khalifa Al Thani, hanno trasformato il piccolo emirato – sino a vent’anni fa pressoché sconosciuto sul piano globale – in un attore regionale con mire globali.
Non è infatti prettamente locale l’interesse strategico del Qatar, espandendo la sua visione all’intero mondo arabo, al Mediterraneo e, sotto il profilo più squisitamente economico, all’intero sistema globale. Attraverso un’azione politica, economica e culturale attentamente costruita nel tempo, e tatticamente orientata al fine di permettere un collocamento del Paese nell’olimpo delle nuove, vere, potenze emergenti del pianeta.
 
Il Qatar di oggi può ricordare, vagamente, l‘Arabia Saudita degli anni Sessanta, sebbene da questa lo Stato differisca in molti elementi fondamentali. In primo luogo, l’emiro ha deciso di adottare una politica e una linea di dialogo con l’esterno impostata sulla moderazione e la conciliazione, senza in alcun modo ricalcare l’atteggiamento arabo degli anni Sessanta e, di conseguenza, volendosi porre come interlocutore e non come antagonista del sistema politico ed economico globale. In secondo luogo, l’emiro ha voluto che il Qatar divenisse il volto e l’immagine del nuovo Medio Oriente, dando voce e sostanza a una strategia mediatica che, attraverso il canale satellitare Al Jazeera, ha effettivamente rivoluzionato non solo il modo di comunicare, ma anche la capacità di percepire il mondo islamico e quello arabo in particolare. Al Jazeera è quindi divenuto il contraltare delle televisioni di regime nella regione, ma anche dei grandi network occidentali, imponendosi con uno stile e una strategia assolutamente unica e particolare ed entrando a pieno titolo in meno di dieci anni nella rosa delle più importanti e influenti reti televisive del pianeta.
 
Hamad bin Khalifa Al Thani è tuttavia uno stratega, di formazione squisitamente militare. E britannica. Ha ben chiaro il quadro economico, politico e della sicurezza regionale, ed è quindi per questa ragione che ha disegnato una strategia di difesa degli interessi nazionali (essenzialmente economici), basata sullo sviluppo di alleanze regionali e globali asimmetriche, su una forte capacità di comunicazione e influenza mediatica, unitamente a una volontà politica tesa al consolidamento delle monarchie, ma ostile ai regimi autoritari.
È quindi alleato degli Stati Uniti, dei quali ospita una base aerea, ma anche pragmaticamente amichevole con i dirimpettai della Repubblica islamica dell’Iran, che rappresentano non solo il crescente fulcro militare della regione, ma anche il più temibile concorrente nello sfruttamento degli immensi giacimenti di gas locali (di cui uno in condivisione tra i due Paesi). È invece stato palesemente ostile, il Qatar, ai regimi autoritari del Nordafrica, che ha concretamente aiutato a crollare, ritenendoli più un freno alle possibilità di sviluppo regionale che minacce politiche e militari.
 
L’azione di sostegno dell’emirato alla cosiddetta primavera araba si è tuttavia palesato in modo asimmetrico e differente. In Libia c’è stato un diretto, poderoso e visibile ruolo del Paese attraverso la partecipazione delle sue forze militari, della sua capacità di intervento economico e, soprattutto, della sua capacità di influenza attraverso il ruolo del canale Al Jazeera. In Tunisia ed Egitto, ma anche in Yemen e in Siria, l’intervento è stato invece indiretto, finanziando copiosamente le forze politiche dell’opposizione – tra cui quelle di ispirazione religiosa tanto temute dall’occidente, quanto ancor oggi marginalmente conosciute – con il supporto dell’immancabile strumento di comunicazione di Al Jazeera.
Una strategia ad ampio raggio, quindi, non solo politica ma anche geografica. Apparentemente troppo ampia per uno Stato di poche centinaia di chilometri quadrati.
 
Ed è proprio questa la sfida del sovrano. Imporre il ruolo del Qatar a livello globale, garantendo la sua sicurezza fisica ed economica con strumenti differenti da quelli militari. Per ottenere questo risultato è necessario quindi condurre un’azione politica incisiva ma all’apparenza “soft”, giocando abilmente le carte dei più moderni strumenti di intervento politico a livello globale: l’economia e la comunicazione.
Questo significa quindi che il Qatar ha dei nemici, palesi e non, ed ha ben chiaro il modo per contenerli e, alla fine, probabilmente anche sconfiggerli.
 
Come ogni Paese arabo, anche il Qatar vede nei suoi vicini della regione le principali sorgenti di minaccia per i propri interessi, ed è quindi in direzione di questi che definisce le sue strategie e dirige le sue azioni. Tra i primi e più invadenti ci sono senz’altro l’Arabia Saudita e l’Iran, che vedono con timore e sospetto il ruolo del Qatar e soprattutto la sua volontà di mediare con l’occidente attraverso quella che considerano un’ambigua politica della diplomazia. Con l’Iran, tuttavia, il Qatar intrattiene relazioni amichevoli imperniate non solo sul mutuo rispetto, ma soprattutto sul ruolo di mediazione con l’Arabia Saudita, sempre più ai ferri corti con Teheran. Mentre con l’Arabia Saudita, dove la sterminata famiglia reale sembra essere sempre più pericolosamente incapace di garantire una successione serena e pacifica all’attuale quadro dirigente, il Qatar adotta una politica di buon vicinato assecondando – sempre più a malavoglia – le richieste di re Abdallah.
Al di fuori della prima fascia di rischio strategico, invece, il Qatar si sente ormai pronto e sicuro per giocare un ruolo decisamente più attivo e meno remissivo di quello adottato nel Golfo Persico. Alimentando i sentimenti di rivolta contro gli autoritarismi, intervenendo in modo diretto nella regione e puntando a diventarne il principale dominus economico e politico entro un decennio. A danno di molti nella regione, e soprattutto dell’Arabia Saudita.


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