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Crisi di Gaza, nuove tensioni e ultimatum politico in Israele

La crisi di Gaza vede novità sul piano umanitario, militare e politico: un molo galleggiante americano porta aiuti diretti dalla Striscia, mentre le brigate Al Qassam continuano gli attacchi missilistici su Israele. Sul fronte politico, Benny Ganz ha lanciato un ultimatum a Netanyahu per un piano di sei punti, con possibili elezioni anticipate se non si trova un accordo

La crisi di Gaza è caratterizzata in questi giorni da rilevanti novità sul piano umanitario, militare e politico. Il molo galleggiante costruito dai militari americani è operativo e consente alle navi provenienti da Cipro di portare direttamente nella Striscia un flusso costante di nuovi e consistenti aiuti di emergenza. Il collegamento diretto tra il porto di Larnaka e il nuovo pontile di Gaza non ha solo un valore umanitario, ma interrompe – quanto meno sul piano logistico – l’isolamento politico della Striscia, controllata militarmente dai miliziani di Hamas dal giugno 2007, dopo il sanguinoso golpe fratricida contro l’Autorità Nazionale Palestinese. Sul piano militare, le brigate Al Qassam si sono riorganizzate nell’area nord della Striscia e hanno ricominciato a sparare missili e razzi sulle città israeliane di Ashkelon e nelle vicinanze di Bethesda.

È l’ennesima prova che, dopo il ritiro unilaterale deciso da Ariel Sharon nel 2005, quasi vent’anni di dominio incontrastato di Hamas hanno trasformato la Striscia di Gaza in un gigantesco arsenale di armi e di basi sotterranee finalizzate alla distruzione di Israele. In Israele, si è determinata un’accelerazione della situazione politica e diplomatica. Dopo il duro scontro tra il Ministro della Difesa Yossi Galant e il premier Benjamin Netanyahu, Benny Ganz ieri sera ha lanciato un ultimatum al Primo Ministro, minacciando di uscire dal governo se entro il prossimo 8 giugno Netanyahu non presenterà un piano articolato in sei obiettivi: ritorno degli ostaggi; smobilitazione di Hamas e demilitarizzazione della Striscia; cooperazione con gli USA, con la UE e con i partner arabi (Arabia Saudita in primis) per definire congiuntamente la futura gestione del territorio di Gaza; il ritorno dei 60.000 cittadini israeliani evacuati dal nord entro il 1 settembre; la promozione di un processo di normalizzazione; l’adozione di uno schema unitario e con standard precisi per il servizio militare.

Netanyahu e i ministri dell’estrema destra hanno replicato stizziti alle durissime parole espresse da Benny Ganz e appare sempre più probabile che in Israele si vada verso elezioni anticipate a settembre, a meno che il Consigliere alla Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jack Sullivan, in arrivo oggi a Gerusalemme dalla sua missione in Arabia Saudita, non convinca Netanyahu a trovare un accordo con Ganz.

Elezioni o non elezioni, il tema del post-conflitto a Gaza è ineludibile. Sul piatto ci sono varie soluzioni; qualche mese fa Antonio Tajani ha parlato di una soluzione di governo senza Hamas e di un possibile invio di una missione italiana sotto l’egida Onu. Le opzioni sono molteplici, ma un punto deve essere chiaro: chiunque prenda in mano l’amministrazione civile di Gaza, il disarmo delle milizie armate di Hamas dovrà essere effettivo. La Striscia non è il sud del Libano dove la missione UNIFIL delle Nazioni Unite “convive” da molti anni con le milizie armate di Hezbollah. La smilitarizzazione di Gaza appare l’unica strada per mitigare il conflitto israelo-palestinese e riaprire la strada alla soluzione diplomatica dei due stati.



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