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Iran, cosa non cambia con la morte di Raisi. Il punto con Alcaro e Pedde

Alcaro (Iai) e Pedde (Igs) spiegano cosa aspettarsi adesso, dopo la morte di Raisi. L’Iran sembra ossificato, la linea in politica estera e di difesa non muterà, almeno nel breve periodo. Si apre la questione della successione alla Guida suprema Khamenei, mentre le presidenziali potrebbero anche essere un momento per nuove proteste contro la leadership

Al momento della stesura di questo articolo, i soccorritori potrebbero ancora lavorare per raccogliere i resti di coloro che viaggiavano su un elicottero iraniano Bell 212 (un pezzo di antiquariato risalente agli anni Sessanta) al confine con l’Azerbaigian: e tra questi ci sarebbero anche i corpi del presidente Ebrahim Raisi, del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e di altri funzionari. Il velivolo era vecchio, le condizioni meteo pessime, la zona impervia (in mezzo alle montagne del nord-ovest del paese): i media statali parlano di un incidente che ha “martirizzato” il presidente e gli altri passeggeri.

Ci sono volute molte ore di ricerca prima che i rottami venissero individuati – anche grazie ai satelliti europei di Copernicus e ai sensori termici dei droni messi a disposizione dalla Turchia. In mezzo ai boschi e alle montagne, nella serata di domenica, si è abbattuta una tempesta, proseguita per quasi tutta la notte; pioggia poi diventata neve, nebbia, vento. Da aggiungere a un elemento ulteriore: i velivoli della flotta iraniana sono spesso non aggiornati e senza manutenzione, perché il Paese fatica – a causa delle sanzioni – a reperire i pezzi di ricambio.

“Partiamo col dire che le condizioni a contorno, elicottero vecchio e tempo pessimo, sono del tutto compatibili con l’incidente di cui parlano le autorità iraniane: però, visto il contesto generale, ci saranno teorie di altro tipo, cospirazioni e o sabotaggi, che però andranno valutate una volta che verranno esaminati accuratamente i resti dell’elicottero”, spiega a caldo Riccardo Alcaro, responsabile del programma “Attori globali” dello Iai.

In questo caso il cosiddetto “fog-play” si mescola alle condizioni reali, ma vista l’importanza dell’accaduto certi tipi di ragionamenti non possono essere ignorati. Tuttavia, al momento si cerca di superare le speculazioni, cercando di analizzare i fatti. E l’analisi dei fatti impone subito un ragionamento fondamentale sulla successione, perché parliamo di una “doppia successione”, come fa notare Alcaro.

“Servirà un nuovo presidente, e servirà un nuovo principale candidato a succedere alla Guida Suprema Ali Khamenei. Perché sappiamo che Raisi era considerato primo nella lista dei potenziali successori, non tanto per le sue spiccate doti personali (era un mix di radicalismo religioso e poco carisma intellettuale e politico), ma era un fedelissimo della Repubblica islamica ed era legato a Khamenei: questo permetteva garanzia di continuità ideologica. Era inoltre appoggiato dalle forze di sicurezza, che hanno un ruolo centrale nel sistema teocratico, perché lo consideravano anche manipolabile”.

Tuttavia, Raisi non era l’unico dei candidati alla successione, e molto resterà legato agli incastri che i nomi sul tavolo troveranno con la struttura di difesa e sicurezza, per primo con il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran – che in questa fase sembrano interessati a cercare un candidato disponibile a essere sottomesso. “Tuttavia, la questione è lì: nel medio termine, la successione di Khamenei è una priorità per la Repubblica islamica, perché il leader ha 85 anni e difficilmente potrà continuare a governarne dopo i 90 anni”.

Quanto accaduto sulle montagne tra Azerbaigian e Iran è uno sviluppo che può destabilizzare internamente l’Iran, aprendo una nuova fase di proteste popolari? “Non lo si può escludere certamente, le presidenziali in arrivo aprono a nuovi spazi di protesta, però è anche vero che le parlamentari di febbraio sono venute e passate in modo quasi inosservato, con affluenza ai minimi. Dunque ci sono due scenari: affluenza bassissima al voto, con certificazione dello scollamento tra la Repubblica islamica e la stragrande maggioranza della popolazione che vorrebbe un cambiamento politico; oppure le presidenziali diventano un’occasione per spingere nuove forme di protesta”.

Con quale reazione, dopo lo shock della perdita inattesa della leadership politica? “La reazione sarà quella che abbiamo visto negli ultimi anni: violenza e repressione. Ormai, almeno dal 2022, la Repubblica islamica sembra ossificata, quasi immutabile: il cambiamento, se arriverà, sarà di lungo periodo, anche se in questa fase non possiamo escludere scossoni di discontinuità”.

“La morte di Raisi rappresenta una circostanza grave, ma non muta allo stato attuale in modo significativo gli equilibri di politica interna ed estera dell’Iran”, aggiunge Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies. Pedde spiega che “sul piano interno adesso si apre la procedura prevista dall’articolo 131 della Costituzione iraniana, con la formazione di un comitato a tre per la gestione delle elezioni entro 50 giorni”.

A comporre il triumvirato tecnico che traghetterà il Paese al voto sono il vicepresidente Mohammad Mokhber, sostituito ad interim, il presidente del parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf, e il capo della magistratura, Gholam-Hossein Mohseni-Ejei. Toccherà loro convocare le elezioni per “una campagna elettorale brevissima, che favorirà quasi certamente il consolidamento delle candidature di seconda generazione, e quindi più vicine all’area dell’Irgc”, spiega Pedde, usando l’acronimo con cui vengono indicati i Pasdaran in inglese.

Cosa significa questo? “Che quelle seconde generazioni completeranno in tal modo il già pervasivo controllo delle istituzioni del Paese”, risponde il direttore dell’Igs. E questo cosa potrebbe comportare sul piano delle politica estera e di difesa? L’Iran non è un Paese qualunque, ma il polo dell’internazionale sciita, la quale segna una delle enormi faglie geopolitiche mediorientali, con una serie di gruppi armati e partiti/milizia che sono diffusi nella regione e rispondono in vario modo alle visioni ideologiche (e soprattutto di interessi) dei Pasdaran. Visioni che sono ostili al mondo sunnita e a quello occidentale. Dunque, cosa potrebbe comportare la morte di Raisi sul piano delle politica estera e di difesa?

“Sul piano della politica estera e di difesa – spiega Pedde – ritengo che, almeno nell’immediato, ci sarà una linea di continuità, gestita dall’organo preposto, che è il Consiglio Supremo per la Difesa Nazionale, e che non ha alcun interesse in un mutamento epocale della strategia internazionale del Paese”. D’altronde, “la popolazione iraniana deve essere rassicurata che non ci saranno disturbi negli affari del Paese”, ha commentato Khamenei ragionando a caldo sugli effetti dell’accaduto.

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