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Se la password è il nostro corpo

Alcune caratteristiche fisiche o comportamentali dell’uomo sono universali, uniche, permanenti e misurabili: tutti gli individui le posseggono, sono personali ed esclusive di ciascuno, tendono a rimanere costanti nel tempo e, attraverso l’uso di sensori, possono essere trasformate in un dato numerico inseribile in banche dati. La biometria le utilizza per processi istantanei, efficienti e innovativi di identificazione o di verifica dell’identità.
Iride, forma del volto, impronte digitali, geometrie e vascolarizzazione della mano sono codici di riconoscimento viventi che interagiscono col mondo delle macchine attraverso tecnologie formidabili per la qualità della vita delle persone e per la stabilità e sicurezza della vita sociale ed economica. In futuro, persino elementi della voce, forma delle orecchie, andatura o modalità di apposizione della firma saranno oggetto di un sistema biometrico integrato, collegato a reti informatiche.
 
Il nostro corpo si trasforma cioè in una password per le più diverse transazioni biometriche. All’aeroporto, in banca, in azienda, in casa, quello che siamo e che facciamo ci consentirà di acquistare, scambiare informazioni, accendere un dispositivo, entrare in un luogo protetto in modo semplificato e con maggiori garanzie. Ci permetterà di superare disabilità personalizzando l’automazione degli edifici e di attraversare frontiere, o di lasciar attraversare frontiere da altri, rapidamente e ordinatamente. Saremo autenticati con buoni margini di certezza per mezzo di sensori, anche casualmente tra la folla, e non sarà più necessario ricordarsi a memoria decine di pin, sigle, codici diversi per ogni attività, o tenere in tasca così tante chiavi e radiocomandi.
 
I vantaggi nella vita quotidiana e in termini di ordine pubblico vanno tuttavia valutati alla luce di uno sviluppo tecnologico potenzialmente intrusivo che moltiplica le occasioni di controllo sociale e mette a rischio la privacy di ciascuno di noi in molti sensi. Il rilevamento biometrico può infatti essere occulto, pervasivo e condurre, attraverso la sovrapposizione dei dati biometrici con altre informazioni (ad esempio mediche, finanziarie o comportamentali), al profiling degli individui. La biometria in sé non è certamente causa di abusi, ma l’uso centralizzato e l’aggregazione dei dati sono un vero pericolo se applicati non si sa da chi e per quali scopi, magari su persone ignare, tracciate nei loro movimenti anche a causa di un uso indiscriminato di telecamere nei luoghi pubblici e inserite in archivi interoperabili.
 
Notevoli sono anche le conseguenze legate a possibili errori nei processi biometrici che ci impedissero – a torto – di essere riconosciuti e che quindi ci escludessero da un determinato luogo o servizio: un conto è rimpiazzare un documento cartaceo di identità usurato o scaduto, o cambiare una serratura, un altro sarà cercare di correggere un dato elettronico sbagliato riverberato in miriadi di banche dati oppure doverlo sostituire per un intervento di chirurgia plastica sul volto o per un incidente che ci ha abraso i polpastrelli. Esiste cioè il rischio di restare prigionieri di un errore e, comunque, quello che il dato biometrico riveli di noi un’informazione in eccesso, che vada cioè oltre il mero riconoscimento di identità: l’analisi dell’iride, ad esempio, può dimostrare l’uso di alcool o di stupefacenti, e la temperatura o alcune zone del volto possono rilevare condizioni psico-fisiche anche patologiche. È quindi possibile ottenere, anche senza volerlo, informazioni sanitarie mentre semplicemente si cerca di identificare una persona.
Altre discriminazioni possibili sono legate sia a un eventuale uso che contrasti il diritto costituzionale di eguaglianza tra i cittadini (ad es. schedature ingiustificate), sia all’esistenza dei cosiddetti “disabili biometrici”, ovvero di persone che per età o per incidenti o patologie non sono più in grado di essere riconosciuti attraverso determinate caratteristiche fisiche e che quindi in una società “biometrica” verrebbero marginalizzate.
 
Il Comitato nazionale per la Bioetica ha di recente emanato un parere in cui illustra le principali preoccupazioni e indica un percorso di proporzionalità nell’utilizzo della biometria che implichi, ogni volta che è possibile, almeno il consenso dei cittadini alla raccolta e all’utilizzo dei dati. Altre raccomandazioni riguardano la limitazione di banche dati centralizzate e di operazioni di , nonché il riconoscimento di una sorta di diritto all’oblio (cancellazione o anonimizzazione dei dati biometrici su richiesta dell’interessato). Quello che è certo è che sono urgenti un provvedimento legislativo quadro che regoli le tecnologie biometriche analogamente a quanto accaduto per la videosorveglianza e in cooperazione con i Paesi europei, e la previsione di un organo terzo che vigili sui soggetti pubblici e privati che raccolgono dati biometrici. Un’opinione pubblica che oggi è sostanzialmente all’oscuro potrebbe infatti sviluppare forti resistenze anti-tecnologiche come capitato in altri campi, ritardando la penetrazione di strumenti estremamente preziosi. Regolare rapidamente queste applicazioni introducendo garanzie e informando su limiti e opportunità diventa quindi imperativo in un Paese che è anche in grado di sviluppare una propria industria biometrica grazie alla competitività della ricerca italiana di settore.
 
L’avvento della biometria non prevede opting-out ed è essenziale valutare dove collocare l’equilibrio tra riservatezza e sicurezza, sempre che l’antitesi sia reale. Esiste un diritto all’anonimato seppure non assoluto? Chi garantirà l’accesso individuale ai propri dati, l’accuratezza degli stessi e la loro coerenza tra sistemi diversi? La minacce più serie alla nostra libertà verranno dai gestori biometrici privati o dallo Stato?
La biometria ha un grande pregio che è anche il suo principale difetto: è estremamente efficiente. I benefici sono irrinunciabili e superano di gran lunga i pericoli (in parte inevitabili), tuttavia nell’era del data-mining la discussione non può più riguardare soltanto gli specialisti perché la distinzione tra un uso appropriato o inappropriato delle tecnologie biometriche e l’affermarsi di bar-code umani riguarda principalmente i valori, ovvero l’etica e la politica. La biometria, in ultima istanza, ha a che fare col potere e occorre definire chi la controlla e come.


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