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Nessun attrito in maggioranza sul premierato. Il Capo dello Stato? Rafforzato il ruolo. Parla Balboni

Schlein e Meloni si “sfidano” a distanza dal palco di Trento: il premierato continua a far discutere e anche in Aula al Senato gli animi si scaldano. Si dovrebbe arrivare alla votazione dell’impianto di riforma il 18 giugno. Nessuna prerogativa del Presidente della Repubblica è stata intaccata, anzi forze sono stata rafforzate. E dare stabilità ai governi è una priorità per il Paese, ci dice il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni

Si consuma un duello. Dallo stesso palco, ma a distanza. Il premier Giorgia Meloni, da Trento, ribadisce che la riforma del premierato è in cima alle priorità dell’esecutivo. “O la va, o la spacca”. Dall’altra parte della barricata – qui è proprio il caso di dirlo – la segretaria nazionale del Pd, Elly Schlein che rivendica la sua linea di ferma contrarietà perché “la democrazia non è l’acclamazione di un capo”. È il termometro degli umori che si sono surriscaldati in Aula, al Senato, dove il relatore della riforma – il senatore di FdI Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali – sta conducendo un lungo lavoro affrontando “una sinistra che vuole impedire il voto e che ha presentato oltre tremila emendamenti”. Le opposizioni gridano allo scandalo a fronte della previsione del contingentamento dei tempi – fissato a trenta ore – per la discussione “ma quando loro erano al governo ne concedevano molte meno”, fa presente il meloniano con cui Formiche.net ha fatto il punto della situazione sull’iter di riforma.

Senatore Balboni, si vocifera di tensioni tra le forze di maggioranza per alcune misure contenute nella riforma. Non sarebbe un bel segnale data l’importanza che il premierato riveste per l’agenda di governo.

Queste sono ricostruzioni di Repubblica: speculazioni giornalistiche che non rispondono alla realtà dei fatti. L’iter di riforma è avviato e, con ogni probabilità, il 18 giugno si voterà. Il giorno dopo è il mio compleanno… chissà.

Le forze di opposizione contestano che ancora non sia stata fatta chiarezza sulla legge elettorale. Come rispondere?

Abbiamo già chiarito anche questo punto, nonostante continuino le insinuazioni. La legge elettorale sarà scritta dopo la prima lettura della riforma sul premierato. Perché è evidente che la legge elettorale si dovrà ispirare ai principi contenuti nella riforma, nel nome della governabilità e della rappresentanza.

Dal momento che i cardini su cui si regge l’impianto di riforma sono già stati chiariti, perché non accelerare sulla legge elettorale?

Non avrebbe senso. Sarebbe un po’ come mettere il carro davanti ai buoi. Questo dibattito viene inquinato dalle opposizioni che, non avendo argomenti, continua ad agitare quello della legge elettorale. Ma non ha senso. Aspettiamo la prima lettura, poi procederemo (dal momento che poi in seconda lettura il testo non sarà più modificabile).

Per la verità uno degli argomenti più ricorrenti è la riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica.

Anche questa è un’argomentazione totalmente infondata: tutti i ruoli di garanzia del Capo dello Stato sono stati confermati. Anzi, se vogliamo, addirittura rafforzati. Abbiamo tolto la previsione del premio di maggioranza al 55%, che sarà disciplinato dalla legge elettorale, abbiamo introdotto il limite dei due mandati consecutivi del premier, abbiamo inserito in Costituzione il potere di revoca dei ministri da parte del Presidente della Repubblica.

È stato presentato un emendamento per portare a dieci i senatori a vita, che invece voi avete cancellato. Qual è la ratio?

Il Senato è un organo elettivo, non di nomina. Per cui la ratio è molto semplice: i senatori devono essere eletti e non nominati. La sinistra addirittura avrebbe voluto creare senatori di serie B, togliendo ai senatori a vita il diritto di voto. Insomma, un pasticcio.

Perché state portando avanti questo impianto di riforma in modo così pervicace?

Si tratta di coerenza rispetto al programma elettorale con il quale questo governo è stato votato dal popolo italiano. Di esigenza di rafforzare l’esecutivo si parla almeno dal 1983. Evitare ribaltoni, manovre di palazzo e governi tecnici restituendo finalmente la sovranità al popolo – come prevede peraltro il primo articolo della Carta – mi paiono obiettivi necessari da perseguire. Fermo rimanendo che l’instabilità dei governi, dal 2011 al 2021 è “costato” ai conti pubblici qualcosa come duecento miliardi di maggiori interessi sul debito pubblico.



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