Il viaggio a Teheran annunciato da bin Salman è importante per le dinamiche di un nuovo Medio Oriente che cerca di gestire, dall’interno, complicati equilibri (che riguardano anche le relazioni esterne con le potenze internazionali)
Il nuovo Medio Oriente si muove lungo l’asse che lo ha plasmato, Iran-Arabia Saudita: l’erede al trono di Riad, Mohammed bin Salman, visiterà l’Iran — e la notizia è molto al di fuori dell’ordinario. Non ci sono ancora date e tanto meno programmi esatti, ma dovrebbe non passare ulteriore tempo. Già nell’agosto dello scorso anno, Hossein Amir-Abdollahian — ministro degli Esteri iraniano morto nell’incidente del 19 maggio — aveva in effetti annunciato che bin Salman era prossimo alla visita: ma ancora non c’è stata.
Il viaggio a Teheran di bin Salman segnerà un progresso definitivo nei rapporti tra le due potenze del mondo islamico, che segue la riapertura dei rapporti sancita a Pechino all’inizio del 2023. Come dimostrato anche in occasione del cataclisma regionale prodotto dalla guerra Israele-Hamas, Riad e Teheran restano su posizioni differenti, ma non intendono marcarle in questo momento. È il nuovo Medio Oriente in movimento — nuovo che detesta il vecchio, il quale proprio nella guerra di Gaza e nella riaccensione violenta con il conflitto palestinese ha avuto un apice in questi mesi.
La visita ai bin Salman nella Repubblica islamica si inserisce in questo contesto, ossia nella volontà di dimostrare che le dinamiche del nuovo ordine regionale — deciso anche dall’interno della regione — procedono. Dimostrazione da porre sul tavolo delle interlocuzioni di attori esterni come l’Ue o il Sud-est asiatico — fortemente interessati alla stabilità. E dimostrarlo in una fase temporale particolare: l’Iran si appresta all’elezione di un nuovo presidente che certamente non cambierà le dinamiche interne (dove il conservatorismo sta dominando sulle visioni pragmatico-riformiste); l’Arabia Saudita si appresta a concludere i documenti preliminari per un accordo storico con gli Stati Uniti.
È possibile che la visita di bin Salman si leghi anche a questo, alla volontà dell’erede Saudita (sempre più vicino al trono, visto l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre, Re Salman) di mantenere un canale di comunicazione con l’Iran nonostante lo step up nelle relazioni con gli Stati Uniti. Qui si intravede anche la possibilità che bin Salman si muova verso Teheran per non perdere il link con Pechino.
La Cina rivendica infatti la riapertura delle relazioni iraniane-saudite come un grande successo diplomatico, che ne conferma le capacità di muoversi su dossier internazionali (e nello specifico nel complesso dedalo mediorientale). Si dice infatti che tra le clausole nascoste dell’accordo con gli Usa ci sia anche la richiesta di allontanamento da Pechino, e per questo Riad potrebbe essere interessata a gesti parzialmente simbolici.
Potrebbe trattarsi anche della volontà dell’Arabia Saudita di alzare il prezzo (nei confronti degli Stati Uniti) per aver accettato un accordo di normalizzazione con Israele come parte del cosiddetto “mega deal“. Per esempio, appena Bin Salman ha fatto sapere di aver accettato di visitare l’Iran, le fonti dicono ai media americani che gli Stati Uniti stanno eliminando il divieto di esportazione di armi offensive verso l’Arabia Saudita. Cosa otterrà quando ci andrà davvero?
Tuttavia, anche se la distensione tra Riad e Teheran è stata determinante per garantire la stabilità generale del Medio Oriente dopo il mostruoso attacco con cui il 7 ottobre Hamas ha dato il via a questa stagione di guerra, non c’è da escludere che il clima possa cambiare nel prossimo futuro. La distensione non è priva di vulnerabilità, e bin Salman sta presumibilmente lavorando per arginare certi rischi.
L’idea che gli Stati arabi del Golfo stiano discretamente ma fermamente consolidando un’alleanza difensiva con gli Stati Uniti contro l’Iran deve essere decisamente offensiva per Teheran, data la premessa della sua riconciliazione con Riad e Abu Dhabi: vale a dire, che queste capitali non dovrebbero aver bisogno che gli Stati Uniti li proteggano dall’Iran nel loro cortile casalingo, e certe dinamiche dimostrano che c’è comunque un livello di sfiducia nei confronti della Repubblica islamica.
Un problema, perché con la distensione Teheran sperava di attirare gli investimenti sauditi e di incrementare il commercio — cosa che non è avvenuta. D’altronde, come potrebbe l’Arabia Saudita investire nell’economia iraniana senza violare le sanzioni occidentali che gravano sulla Repubblica Islamica? La questione rimane irrisolta e Riad non ha esercitato alcuna pressione sui suoi partner internazionali per alleggerire le sanzioni. E Teheran potrebbe essere convinta che questo status quo sia vantaggioso per Riad.