Dal Golfo della Sirte, alla Zona di protezione della pesca e alla Zona economica esclusiva, tutti i limiti delle acque fissati dalla Libia, che ancora oggi sono al centro di diverse dispute, raccontati dall’ammiraglio Fabio Caffio
Nel 1973 la Libia di Gheddafi inglobò nelle acque interne il Golfo della Sirte, tracciando una linea di chiusura di 306 mg. da cui si misurano le acque territoriali di 12 mg. Tutti ricordiamo la reazione statunitense a questa iniziativa che negli anni Ottanta portò Washington, con l’inasprirsi delle tensioni, ad uno scontro diretto. Gli Stati Uniti considerano tuttora l’appropriazione della Sirte come un’iniziativa non conforme al diritto del mare sia perché l’insenatura, geograficamente parlando, non si addentra nella terraferma, sia perché a fondamento della pretesa non sono mai stati indicati quei titoli storici di uso esclusivo che la legittimerebbero.
Nel frattempo Tripoli ha continuato per la sua strada istituendo nel 2005 una Zona di protezione della pesca (Zpp) estesa 62 mg. oltre le acque territoriali che è stata contestata dalla Ue, perché il limite esterno è spostato verso il largo per effetto della linea di base della Sirte.
Nel 2009 ha poi proclamato, al di là della Zpp, la Zona economica esclusiva (Zee) i cui limiti, non definiti da coordinate geografiche, si spingerebbero fino alla mediana con gli Stati frontisti. Questi limiti sono stati fissati per accordo soltanto con Malta, mentre nessuna intesa è stata stipulata con Italia e Grecia. Il nostro Paese, pur consapevole dell’importanza della frontiera marittima con Tripoli, non ha ancora avviato un negoziato di delimitazione attendendo probabilmente che si stabilizzi la sua situazione interna.
Sono comunque note le dure prese di posizione di alcune associazioni italiane di pescatori che contestano, allo stesso modo della Ue, la pretesa libica, anche a seguito di fermi in mare operati da autorità di Tripoli e Bengasi. La Grecia, per parte sua, ha più volte riaffermato che i confini delle zone di giurisdizione libica dovrebbero tener conto della sua piccola isola di Gavdos (Gaudo in italiano) a sud di Creta la quale ne sposterebbe il tracciato verso sud. Atene ha poi contestato ulteriori rivendicazioni libiche non accettando nemmeno il confine della Zee turco-libica stabilito nel 2019; nel 2024 ha infine protestato per la proclamazione libica della zona contigua (Zc).
La Zc è stata dichiarata dal Governo di Unità Nazionale di Tripoli nel 2023 (v. Note Verbale 5 Decembre 2023). Il limite esterno di 24 mg. dalle linee di base è spostato verso il largo per effetto della chiusura della Sirte. Perciò, come detto, non è accettato dalla Grecia. Altro motivo di non conformità al diritto internazionale (ma il condizionale è d’obbligo visto che non è ben chiaro il contenuto della normativa interna libica) potrebbe essere il fatto che la giurisdizione sarebbe relativa non solo alle materie di immigrazione, dogane, finanze e salute, ma anche ad ambiente e sicurezza.
Queste ultime, non rientrano infatti tra le competenze attribuite allo Stato costiero dall’art. 33 dell’Unclos. La decisione di Tripoli, sin dal suo apparire, ha suscitato la reazione di molte Ong che operano nel soccorso dei migranti avanti alle coste libiche, in quanto la considerano dedicata a contrastare gli espatri irregolari. Le associazioni umanitarie in alcuni casi hanno lamentato l’uso della forza nella Zc da parte delle autorità tripoline per reprimere la violazione degli scafisti alle proprie norme interne e riportare i migranti nei porti di partenza. Al riguardo non va tuttavia dimenticato che in teoria ogni Stato ha diritto di prevenire e reprimere le infrazioni alle proprie norme sulla sicurezza marittima anche esercitando – per contrastare gli espatri illegali – quello che si chiama il “diritto d’inseguimento” da acque territoriali e Zc. Il problema, nel nostro caso, sarebbe il mancato rispetto dei diritti umani nei confronti dei migranti riportati forzatamente indietro. Anche perché, nella nostra legislazione relativa alla concessione della protezione internazionale, la Libia è indirettamente considerata “Paese di origine non sicuro”.
Da notare che le Ong contestano, oltre all’enforcement nella Zc, le attività di salvataggio svolte dalla Libia nella propria zona di responsabilità Sar. Le violazioni dei diritti umani subite dai migranti in tali zone sono da qualche tempo all’attenzione della magistratura italiana. Le relazioni politiche italo-libiche sono tuttavia eccellenti. Il Memorandum di collaborazione del 2017 è stato rinnovato nel 2022. La nostra premier Giorgia Meloni è stata di recente a Tripoli e Bengasi. Il primo ministro libico Dbeibeh ha invece avuto incontri a Bruxelles con le istituzioni Ue, discutendo anche di immigrazione irregolare. Da notare infine che, in materia di salvataggio nelle rispettive zone di soccorso, esiste un accordo tra Tripoli e Valletta.