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Geopolitica e mondo digitale sono sempre più connesse. Ecco perché

Geopolitica del digitale: servizi immateriali come quelli digitali influenzano sempre di più le relazioni tra Stati. Lo studio prodotto da Med-Or e Luiss, e sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, approfondisce i temi della più grande delle sfide presenti e future

“La digitalizzazione integrale della vita, fino ai nostri micro movimenti fisici, costantemente tracciati e trasformati in dati dagli smartwatch che indossiamo, ha trasferito nella dimensione informatica le principali dinamiche che attraversano il mondo fisico, parafrasando Carl von Clausewitz si potrebbe dire che il digitale è diventato spesso la continuazione della guerra con altri mezzi”, dice Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel suo intervento alla conferenza pubblica “La geopolitica del digitale e le nuove sfide della politica internazionale”, organizzata dalla Fondazione Med-Or, presso l’Università Luiss Guido Carli.

Un’occasione per raccontare l’articolato studio che la fondazione e l’università hanno dedicato al tema della geopolitica del digitale — un esempio delle attività collaborative che il centro di analisi presieduto da Marco Minniti si prefigge come mission. Uno studio composto da diversi paper tematici, prodotto con il sostegno della Fondazione Compagna di San Paolo, presente all’evento di presentazione con Nicolò Russo Perez, responsabile delle relazioni internazionali.

Il tema è cruciale e tocca le quotidianità dei singoli fino alla pianificazione delle strategie dei governi. “All’Agenzia spetta la missione della resilienza” nell’ottica della competizione globale e conseguentemente della sicurezza, spiega il prefetto Bruno Frattasi, direttore dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza (Acn). Frattasi ricorda i risultati del Gruppo di Lavoro del G7, che dopo la riunione di Roma — la prima di questo genere — ha deciso di continuare il formato anche per la prossima presidenza canadese. E a testimonianza del valore geopolitico della sicurezza digitale, Usa, UK e Giappone hanno partecipato al tavolo ospitato alla Farnesina con una delegazione non solo tecnica.

È davanti a ciò che serve quello che Frattasi definisce uno “sforzo solidale”, da portare avanti in questo momento di tensione: “Non è possibile fare da soli, abbiamo bisogno di condividere esperienze e punti di vista. Questo è ineludibile”. Per il prefetto, il tema della cybersicurezza limita quello della competitività, perché la vicenda digitale che stiamo vivendo in questo momento ci fa capire che la sicurezza stessa deve avere la forza di spostare i termini della competizione, che è importante perché produce lo sviluppo, ma lo sviluppo non può permettersi di uscire dal perimetro securitario.

Tout se tient. Ed è qui che la cybersicurezza diventa una necessità delle democrazie: non a caso l’Italia sta costruendo con Paesi del vicinato — come Tunisia ed Egitto — dei sistemi di cooperazione. Sempre in quest’ottica, l’Italia ha recentemente ospitato una delegazione di esperti del settore proveniente dal Ghana, Paese che vuole farsi guida del processo di sicurezza digitale in Africa.

“Viviamo in un contesto in cui la tech è parte delle quotidianità, con un cambiamento così tumultuoso che è molto difficile da contenere”, continua il generale Giovanni Gagliano, capo del VI Reparto Informatica, Cyber e Telecomunicazioni dello Stato Maggiore della Difesa. “Un attacco cinetico è difficile da vedere, ma quelli cyber ormai ci sono tutti i giorni, con continue operazioni sotto soglia”, compreso le propaganda, spiega. Per questo, la digitalizzazione della difesa è un fattore cruciale, ricorda l’ufficiale, per produrre connettività avanzata (informazioni sicure ovunque nel mondo, che permettano “padronanza dello spettro elettromagnetico”), ma anche capacità nel cloud (potenza di calcolo e storage) e nella gestione dati (metterli insieme per farli comunicare e tenerli sicuri).

Aspetto su cui non può non concordare Lorenzo Mariani, condirettore regionale di Leonardo, che ricorda come alla luce del numero di conflitti e tensioni nel mondo, e avendo in parallelo una rivoluzione cyber, la parola “digitale” influenza le visioni che dobbiamo avere per il futuro. Tutti i domini militari continueranno ad avere i propri spazi, ma l’interconnessione sarà fondamentale perché siamo ormai in una fase di multi-domini: “L’unitarietà tra i domini e l’aumento dei finanziamenti su questi programmi della difesa permetterà uno sviluppo del settore digitale in Italia”.

La cooperazione-pubblico privato è individuata come miglior modo per far esplodere le competenze anche dall’ufficiale italiano, che porta l’esempio dell’incontro avuto con Paul Miki Nagasone, ex comandante del CyberCom statunitense (la massima espressione della presenza militare nel mondo digitale): le cooperazioni del comando quando è nato si imitavano a 20 aziende, mentre attualmente — un decennio dopo — sono 400.

La sintesi di come le questioni geopolitiche e digitali si sovrappongono è nelle strutture Internet sottomarine. Tanto che Sparkle ha recentemente siglato un accordo con la Marina per il monitoraggio di queste infrastrutture, che sono di fatto uno dei principali interessi naziona i in questo momento.

Ogni tre anni si traporta il doppio del volume di dati, e il 98% di esso viaggia tramite cavi sottomarini, ha ricordato Enrico Bagnasco, ceo di Sparkle, durante la tavola rotonda moderata da Raffaele Marchetti, pro-rettore per l’Internazionalizzazione della Luiss. Il web offre servizi immateriali, ma funziona attraverso infrastrutture assolutamente materiali e fisici, tanto che c’è perfetta corrispondenza tra geografia fisica e digitale, spiega Bagnasco, per questo serve resilienza.

“La resilienza dell’infrastruttura crea una forma di alternativa”, e un esempio è ciò che è accaduto nel Mar Rosso, dove viaggia un quarto del traffico dati del mondo, finito vittima indiretta delle tensioni nella regione quando tre cavi sono stati tagliati dall’ancora di una nave, alla deriva prima di affondare dopo essere stata colpita dagli Houthi – che stanno mettendo a ferro e fuoco quel corridoio al fine di rivendicare le proprie istanze sul futuro dello Yemen.



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