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A difesa di un interesse generale

Le fondazioni di origine bancaria in questo particolare momento di difficoltà sono molto “corteggiate”. Sconosciute a molti fino a qualche anno fa, ora si trovano al centro del dibattito economico e finanziario. Nate negli anni ‘90 dalle ceneri delle banche pubbliche grazie alla riforma di Giuliano Amato, si sono presto affermate come esperimento, ardito ma efficace, di “privato sociale”.
Proprio Amato le definì un modello “Frankenstein”: un soggetto ibrido, né propriamente pubblico, né propriamente privato, che persegue un’utilità economica a fini sociali. Molte fondazioni sono azioniste fondamentali dei principali gruppi bancari italiani redistribuendo i loro dividendi sul territorio di riferimento.
 
Secondo Azeglio Ciampi, che con la sua legge del 1998 ne disciplinò la struttura e il funzionamento, “le fondazioni hanno rinforzato la nostra democrazia”. Senza dubbio sono andate a colmare una lacuna del nostro ordinamento per quanto riguarda i cosiddetti corpi intermedi, i quali, inserendosi tra lo Stato centrale e la società civile, rappresentano un elemento determinante per il buon funzionamento della democrazia.
Prima della loro costituzione risultava molto modesta la presenza di organismi dotati di fondi in grado di svolgere un ruolo di sussidiarietà o, in alcuni casi, ma da evitare, di piena sostituzione dello Stato e degli enti locali in attività di elevato valore sociale, in settori quali la sanità, la ricerca scientifica, l`istruzione, l’arte e la cultura. Settori nei quali spesso lo Stato non investe o non lo fa a sufficienza.
Nel confronto con gli altri Paesi, il nostro sistema democratico trae un gran beneficio dalla presenza di questi corpi intermedi.
Le istituzioni della democrazia ne risultano irrobustite: sono rese più agili e funzionali, grazie alla maggiore prossimità dei corpi intermedi agli interessi rappresentati e al presidio del territorio che essi costituiscono contro i rischi di degenerazioni centraliste.
 
La costituzione delle fondazioni bancarie e la distinzione netta nei fini e nella gestione delle aziende bancarie partecipate, furono un passaggio obbligato per contribuire a rendere il sistema bancario italiano adeguato ai tempi, in grado di competere con gli altri sistemi bancari, capace di svolgere in pieno la sua funzione precipua nel sostenere ed accrescere il benessere economico delle famiglie e delle imprese italiane.
La storia degli ultimi due decenni mostra la bontà delle scelte allora operate dal legislatore. Le fondazioni bancarie hanno sostenuto con convinzione il processo di consolidamento del sistema bancario italiano degli anni Novanta fino ai giorni nostri, partecipando al rafforzamento patrimoniale delle conferitarie, pur lasciando agli amministratori e ai gruppi dirigenti di esse piena autonomia di indirizzo strategico e di gestione. Inoltre hanno ben presenti le priorità delle esigenze delle economie locali di riferimento.
Se oggi il giudizio sulle banche italiane è positivo e se le banche italiane sono state lambite in maniera minore dalla crisi che ha investito in misura più o meno importante i sistemi finanziari dei principali Paesi, occorre riconoscere anche il ruolo svolto dalle fondazioni a tutela delle banche partecipate.
 
Del resto le fondazioni non sono mai state azioniste esose, hanno spesso accettato di rinunciare ai dividendi delle conferitarie proprio per sostenerne la patrimonializzazione, pronte anche ad aderire agli aumenti di capitale. Sono dunque comprese fra l’impegno dello svolgimento delle loro funzioni istituzionali e l’altrettanto importante compito di concorrere al rafforzamento patrimoniale delle partecipate per adeguarsi ai parametri di Basilea 3.
Uno sforzo non indifferente che la nostra Fondazione è stata chiamata ad affrontare e che inevitabilmente va a ripercuotersi sull’attività istituzionale, resa difficoltosa anche dai mancati dividendi da parte di Banca Monte dei Paschi nel 2010, con una decisione che come azionisti di riferimento abbiamo condiviso, ma consapevoli che ciò avrebbe comportato una notevole carenza di risorse.
Stretto è il legame esistente fra la Banca e la Fondazione. Non soltanto in termini di partecipazione azionaria, ma in ragione di un percorso storico che le rende fortemente collegate.
 
Il Monte dei Paschi di Siena è per la sua origine e per l’evoluzione che ne ha connotato il cammino attraverso i secoli, patrimonio esclusivo di un’intera comunità, quella senese, e ne rappresenta un bene primario, con i suoi statuti capaci nel loro lungo cammino temporale di tutelarne la crescita finanziaria, ma al contempo anche lo stretto rapporto con il territorio. La Fondazione Mps per molti aspetti ne è l’erede naturale, chiamata a tutelarne integrità e sviluppo, attenta e rispettosa delle altrui competenze, ma consapevole del proprio compito e della propria responsabilità nel soddisfare le indicazioni che la comunità stessa ha sempre identificato come prioritarie.
La perseveranza a non scendere sotto la sua quota di maggioranza in Banca Mps non è certo determinata dalla difesa ad oltranza di un simbolo, seguendo magari istinti profondi e magnanimi, ma tutto sommato irrazionali; significa invece che la Fondazione ha chiara la necessità storica (oltre che statutaria) di difendere l’indipendenza strategica del Gruppo Mps, la sua non scalabilità, il radicamento nel territorio.
Sia al fine di tutelare il valore del patrimonio, inteso in senso dinamico come capacità futura di generare reddito, sia per continuare a garantire a Siena ed alla sua comunità un insostituibile volano di sviluppo attraverso il radicamento territoriale e un rapporto con le istituzioni di riferimento, in una specificità che da sempre caratterizza la storia dell’istituto di credito senese e il suo legame indissolubile alla Fondazione Mps.


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