Se Giorgia Meloni vorrà dare un senso politico ai consensi ottenuti, non potrà far alto che concorrere all’elezione del nuovo presidente della Commissione assieme al Ppe, vero baricentro dell’alleanza, al Partito socialista europeo, ai liberali e a chi vorrà starci. Il commento di Andrea Cangini
Fratelli d’Italia ha stravinto a Roma, ma a Bruxelles ha stravinto il Partito popolare europeo: per Giorgia Meloni si avvicina “l’ora delle decisioni irrevocabili”.
In termini percentuali, il risultato incassato dal partito del presidente del Consiglio italiano rappresenta un indiscutibile successo: 28,8% contro il 26% delle scorse elezioni politiche. A contare i voti assoluti, però, Fratelli d’Italia registra un calo. Alle elezioni politiche di due anni fa, nel proporzionale prese 7 milioni e 300mila voti; alle elezioni europee di ieri si è fermato a poco più di 6 milioni e mezzo di consensi. La bassa affluenza ha dunque aiutato Giorgia Meloni, come decisiva è stata la scelta di candidarsi in prima persona per mobilitare il proprio elettorato.
Il presidente del Consiglio italiano si presenta di conseguenza come il capo di Stato e di governo più forte dell’Unione Europea, in uno scenario di rovine caratterizzato dal flop del presidente francese Macron e del cancelliere tedesco Scholz. Va, dunque, in frantumi l’asse franco-tedesco e si rafforza la possibilità di una vittoria del Rasemblement National alle legislative francesi di fine giugno, propedeutica a un possibile trionfo di Marine Le Pen alle prossime presidenziali.
Giorgia Meloni si trova, dunque, a un bivio. Com’era prevedibile, non c’è nessuna possibilità che all’Europarlamento prenda corpo una maggioranza di centrodestra alternativa alla sinistra. Non è possibile per ragioni aritmetiche così come per ragioni politiche. Si va, pertanto, inesorabilmente verso la riedizione di una maggioranza trasversale analoga a quella che cinque anni fa votò Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea. Voto allora descritto da Fratelli d’Italia come un orribile inciucio. Ma allora FdI era all’opposizione, oggi è il maggior partito di governo.
Se Giorgia Meloni vorrà dare un senso politico ai consensi ottenuti, non potrà far alto che concorrere all’elezione del nuovo presidente della Commissione assieme al Ppe, vero baricentro dell’alleanza, al Partito socialista europeo, ai liberali e a chi vorrà starci. Poi, se vorrà salvare le apparenze potrà sempre evitare di aderire formalmente alla maggioranza, trincerandosi dietro un voto di benevola astensione.
“L’ora delle decisioni irrevocabili” è dunque giunta, Giorgia Meloni dovrà sporcarsi le mani. E nel farlo dovrà decidere che atteggiamento assumere nei confronti di Marine Le Pen. In Europa si apre una fase nuova, ma come nella vecchia fase i partiti estremisti sono destinati a non toccare palla.