Skip to main content

La non solitudine dei numeri elettorali. L’analisi di Polillo

L’Italia ha dato prova di stabilità politica, specie se paragonata a quanto accade in Francia o nella stessa Germania. Il sistema politico si è sviluppato in un format maggioritario: con due partiti pivot dei relativi schieramenti. Il che è un bene, ma a condizione che il confronto, anche duro, cessi di essere sul passato, ma abbia il respiro che meritano le inquietudini del futuro. L’analisi di Gianfranco Polillo

I numeri, se non si sanno interpretare, rischiano di essere bugiardi. La semplice sequela dice poco o nulla. La serie organizzata, invece, dice tutto. Nel caso delle elezioni, poi, consegna la palma del vincitore a quel partito politico che, meglio di altri, ha saputo mobilitare il proprio elettorato e spingerlo alle urne. Tutto il resto – dai semplici tentativi truffaldini di ammantarsi della pelle dell’orso senza averlo ucciso, alle giustificazioni più o meno sociologiche – è pura e semplice noia. Quel rituale indigesto che accompagna quell’atto solenne, in democrazia, che è l’espressione del voto popolare.

Il voto dello scorso fine settimana non si è distinto da questa logica. A congratularsi sono in molti. A vincere, invece, ben pochi. Tra i due schieramenti che hanno diviso l’elettorato esiste un solo vincente: il centrodestra. I voti dei tre partiti che ne costituiscono la struttura hanno riportato voti per una percentuale pari al 47,61 per cento dei voti validi. Il centrosinistra per conto suo si è fermato al 40,64 per cento. La loro somma è pari all’88,25 dei voti espressi. Per giungere al 100 per cento bisogna considerare quell’11,75 per cento di voti dispersi tra le formazioni minori. Che, non avendo superato il 4 per cento, non solo sono andati persi. Ma hanno accresciuto la dote in seggi di coloro che hanno superato lo sbarramento.

Ne consegue che, in termini di seggi, il centrodestra avrà dalla sua il 53,9 per cento dei voti validi, mentre il centrosinistra si fermerà a quota 46,1. Significativo il cambiamento di scenario rispetto alle politiche del 2022. Allora lo schieramento di centrosinistra, con il 51,6 dei voti validi, era maggioritario. Oggi quei rapporti risultano rovesciati. Cosa che non deve sorprendere se si considera la dispersione di voti a sinistra: da Calenda a Renzi, passando per le piccole liste che inneggiavano non alla “pace”, bene comune. Ma all’appeasement nei confronti di Vladimir Putin: che è cosa ben diversa.

All’interno del centrodestra Fratelli d’Italia mantiene la pole position, con una percentuale pari al 60,5 dei voti espressi. Percentuale analoga a quella delle passate politiche. Segno evidente che le continue accuse circa il presunto ritorno del fascismo non hanno convinto. A meno di non considerare quella massa di votanti come nostalgici irriducibili di una fase storica che appartiene al passato. E lì deve restare. Leggeri cambiamenti si riscontrano invece nei rapporti tra gli altri due partiti. La Lega, rispetto alle politiche del 2012, perde l’1,4 per cento a tutto vantaggio di Forza Italia che invece passa dal 18,9 al 20,4 per cento. Il movimentismo parolaio di Matteo Salvini non sembra aver pagato. Tanto più se si considerano le passate elezioni europee in cui la Lega aveva raggiunto il 34 per cento dei voti. Contro il 9,1 di quest’ultima tornata.

Una rendita quella di Fratelli d’Italia e di Forza Italia che andrà capitalizzata nel grande gioco europeo. Che vede una più forte frammentazione del quadro politico complessivo. Se è vero infatti che popolari, socialdemocratici e i macroniani sono in grado di assicurare la maggioranza relativa (361 voti), ancor più vera è la scarsa probabilità che quest’evento si realizzi. Nella passata legislatura, la coalizione era stata costretta a ricorrere al supporto dei 5 Stelle per mettere in piedi la cosiddetta maggioranza Ursula. E garantirsi un pugno di voti di maggioranza. Rispetto a quel quadro i tre partiti maggiori perdono ora 18 seggi che qualcuno dovrà rimpiazzare. Saranno i conservatori di Ecr, qualche cespuglio a latere dei grandi partiti? Staremo a vedere. Ma certo è che i margini di manovra sono notevolmente cresciuti.

Sul fronte opposto, il centrosinistra perde la sua maggioranza nel Paese. Anche se quella delle politiche era solo una maggioranza numerica. Sul piano politico Calenda e Renzi erano su un crinale opposto a quello della Schlein che continuava a vagheggiare l’idea del cosiddetto “fronte largo”. Contro il quale, invece, Giuseppe Conte sparava palle incatenate. Nella speranza di tirare acqua al proprio mulino. Non è andata così. I 5 Stelle sono stati le vere vittime di questa tornata elettorale, con una perdita di 9,1 punti percentuali rispetto alle politiche del 2012. Ridotti ormai ad una forza marginale. Il loro grande sogno di conquistarsi il consenso politico a forza di bonus (leggi edilizia) e di elemosine pubbliche (il reddito di cittadinanza) camuffate da sofisticati ragionamenti sociologici, hanno lasciato il campo alla delusione, specie nel Mezzogiorno. Delusione che si è riflessa nel non voto.

Il Pd, ovviamente, ne ha approfittato. Il successo di bottega è stato innegabile. Secondo partito politico con il 24,03 per cento dei voti ed il 27,2 per cento dei seggi. Ma la Schlein è un po’ come Crono, che divorava i suoi figli nel timore di essere detronizzato. Si salvò solo Zeus, grazie ad uno stratagemma di sua madre Rea. Sennonché, una volta divenuto adulto, costrinse suo padre a vomitare tutti coloro che aveva ingerito. Iniziò allora una dura lotta che si concluse con la sconfitta del tiranno. Oggi il Pd è più forte, ma il suo schieramento è più debole. Alla sua sinistra è cresciuto inoltre un movimento single-issue , come dicono gli inglesi, che gli darà filo da torcere. Le cui irrefrenabili pulsioni ambientaliste non troveranno limite nella presenza di una forza riformista – del tutto emarginata – capace di compensarne le asprezze.

Non resta quindi che stare a vedere, partendo tuttavia da alcune relative certezze. L’Italia ha dato prova di stabilità politica, specie se paragonata a quanto accade in Francia o nella stessa Germania. Il sistema politico si è sviluppato in un format maggioritario: con due partiti pivot dei relativi schieramenti. Il che è un bene, ma a condizione che cessi quello stato di guerra permanente che aveva caratterizzato i mesi precedenti. Il che non significa mettere la mordacchia all’opposizione, ma solo sperare che il confronto, anche duro, cessi di essere sul passato, ma abbia il respiro che meritano le inquietudini del futuro. Che non sono da poco. Considerando che l’Europa è sempre più sprofondata in un guado dal quale non sarà facile uscire.



×

Iscriviti alla newsletter