Il climate change produce gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare e sociale delle comunità agricole del caffè. Tra i 25 milioni di famiglie che lavorano nei Paesi tropicali nelle piantagioni sono poche quelle che riescono a superare la soglia della povertà, con un reddito di 3,2 dollari al giorno. Così, soltanto il 5% circa del valore del mercato globale del caffè torna nelle piantagioni. Il commento di Andrea Illy, presidente di Illycaffè
Da secoli il caffè per noi è il prodotto simbolo della vita attiva. Ispira la mente, dà la carica al fisico, delizia il palato, fa bene alla salute, allunga la vita. In una parola, è fonte di benessere. Purtroppo però, è coltivato in condizioni difficili.
Si tratta infatti di un prodotto dell’agricoltura tropicale, coltivato da 12,5 milioni di micro coltivatori sparsi in una cinquantina di Paesi. Delle 25 milioni di famiglie che ci lavorano sono poche quelle che riescono a superare la soglia della povertà, con un reddito di 3,2 dollari al giorno. Solo circa il 5% del valore del mercato globale del caffè torna nelle piantagioni.
Inoltre i prezzi di mercato sono molto volatili perché qualsiasi notizia accende subito la speculazione al rialzo o al ribasso, rendendo altamente imprevedibili i margini dei coltivatori. In queste condizioni, questi non possono accedere ai capitali necessari per investire in produttività e qualità, gli unici fattori che aumentino il valore della produzione.
Il costo del denaro, poi, nei Paesi produttori è dalle tre alle cinque volte superiore a quello dei Paesi consumatori e gli investimenti diretti esteri sono limitati da rischi e ostacoli di ogni genere. Negli ultimi decenni sembrava essersi finalmente imposta una formula.
Il successo planetario, travolgente, dello specialty coffee, di cultura e tecnologia italiana, ha trasformato il caffè da bevanda funzionale, fonte di sola energia, in bevanda esperienziale, ad alto contenuto estetico e culturale. L’impatto che ciò ha avuto sullo stile di vita ha fatto sì che il tasso di crescita dei consumi a livello mondiale raddoppiasse e i prezzi medi pagati aumentassero considerevolmente.
È nato così quel circolo virtuoso tra il benessere che il caffè dà ai Paesi consumatori e lo sviluppo che crea nei Paesi produttori, poi sancito con la Milan coffee legacy, in occasione di Expo Milano 2015. Ma cosa potrebbe succedere se questo circolo virtuoso domani si spezzasse, a causa del cambiamento climatico, e quali potrebbero essere le azioni di contrasto?
La siccità, il troppo caldo e l’eccesso di pioggia sono condizioni che colpiscono la produzione di caffè, sia nella qualità sia nella quantità. Due terzi del caffè è coltivato in America Latina, la regione del mondo più colpita a livello meteo dai Niño e Niña, che si alternano al largo delle coste orientali e sud occidentali del Pacifico in prossimità dei Paesi produttori di caffè.
Il tema è serio, perché al posto del circolo virtuoso se ne sta innescando uno vizioso, quello della povertà, scaturita dal cambio climatico che produce gravi conseguenze anche sulla sicurezza alimentare e sociale delle comunità agricole del caffè. Come già visto nel 2002, quando la più grave crisi dei prezzi della storia ridusse alla fame milioni di famiglie.
Basta leggere i giornali in queste settimane per averne conferma. Piogge torrenziali in Brasile e siccità senza precedenti in Vietnam stanno mettendo a rischio la produzione dei due più grandi produttori mondiali. I prezzi naturalmente sono andati alle stelle, anche a causa del diavolo che ci mette la coda: le incertezze geopolitiche quali la crisi dei canali di Suez e di Panama, la nuova normativa europea sulla deforestazione e altri imprevisti ancora. Le soluzioni però esistono.
Per aumentare la resilienza delle piantagioni di caffè occorre migliorare le pratiche agronomiche e rinnovare le piante. L’agricoltura rigenerativa sta dimostrando di funzionare bene sia per l’adattamento sia per la mitigazione del cambiamento climatico, a livello di micro e di grandi piantagioni, mantenendo la stessa produttività dell’agricoltura convenzionale e, non ultimo, producendo una qualità migliore.
Negli ultimi decenni sono state inoltre selezionate decine di varietà di piante di caffè resistenti agli effetti del cambio climatico e la sinergia tra le due cose è molto promettente. Per mettere in campo queste soluzioni bisogna però fare ingenti investimenti che i Paesi produttori non possono permettersi. Si stima che occorrano circa dieci miliardi di dollari da spendere nell’arco di un decennio.
A tal fine, la comunità internazionale sta studiando un modello di finanza di sviluppo in partnership pubblico-privata che permetta di concedere debito agevolato ai Paesi produttori per rinnovare, installare attrezzature nelle piantagioni così da migliorare le pratiche e, non ultimo, aumentare ricerca e istruzione.
Il governo italiano è in prima linea: ha infatti accolto l’invito impegnandosi sia direttamente con il Piano Mattei, sia proponendo un fondo per la resilienza nell’agenda del G7. L’Italia ha scritto tra i più importanti capitoli della storia del caffè. Il suo consumo in Europa e poi nel resto del mondo è partito da Venezia e da Vienna, a metà del Diciassettesimo secolo.
L’espresso italiano, all’inizio del secolo scorso, ha ispirato la già menzionata rivoluzione dello speciality coffee in America. Chissà che anche questa volta il genio italiano, in collaborazione con altri Paesi amici, non riesca a vincere la madre di tutte le sfide: salvare il caffè dalla devastazione del cambiamento climatico e, grazie a ciò, far uscire le sue genti dalla povertà.
Formiche 203