Se le retribuzioni in Italia non sono cresciute come dovevano, rimanendo al passo con le altre grandi economie, è per colpa della compressione della spesa pubblica per gli investimenti e della mania della flessibilità. L’Intelligenza Artificiale può essere un problema se il Paese non si farà trovare pronto. Conversazione con l’economista e direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, Andrea Roventini
I numeri parlano chiaro, gli stipendi italiani non crescono, non stanno al passo coi tempi e con l’inflazione. Secondo i più recenti studi, le retribuzioni per dipendente sono cresciute poco negli ultimi 20-30 anni e, addirittura, hanno registrato un significativo calo nel 2022 e 2023, quando l’inflazione ha rialzato la testa. Inoltre, la dinamica delle retribuzioni reali ricalca quella della produttività, misurata dal valore aggiunto per occupato.
Anche i servizi, che rappresentano circa i tre quarti dell’economia italiana e che sono attività a maggior contenuto di lavoro che si concentrano nella ristorazione, nel turismo e nell’assistenza, hanno avuto una crescita della produttività praticamente nulla, mentre l’industria, che rappresenta circa un quinto dell’economia, ha fatto registrare un progresso intorno al 20%, basso ma non nullo. Come si spiega? Ed è davvero colpa della produttività che non tira? Formiche.net ne ha parlato con Andrea Roventini, economista e direttore dell’Istituto di Economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
“Nella realtà non c’è una spiegazione univoca alla questione dei bassi salari. Se prendiamo il versante della produttività che non cresce, non ci sono fattori solo esogeni, ma dipende tutto o quasi da quanto il nostro Paese ha investito in produttività, sanità, servizi e altro. Se andiamo a vedere la politica economica degli ultimi anni, vediamo che per colpa dell’austerità fiscale si sono compressi gli investimenti pubblici”, spiega Roventini.
“E questo a fronte di avanzi primari di bilancio. Inoltre, abbiamo assistito a un proliferare di riforme strutturali per flessibilizzare il mercato del lavoro. Tutto questo non ha aumentato la produttività, ma ha compresso i salari e alimentato il precariato e le disuguaglianze. Non lo dico io, sia chiaro, ma gli esperti di Bankitalia e del Fondo monetario internazionale. Pensiamo solo che dagli anni ’80 la fetta del Pil che va al 50% più povero è in discesa mentre l’1% e lo 0,1% più ricco stanno incamerando una frazione sempre maggiore del reddito”.
“Lo stesso Fmi afferma come l’eccessiva flessibilità nel lavoro, deprime la produttività, perché se un lavoratore cambia troppo spesso il lavoro, non si specializza come dovrebbe e non produce”. E le operazioni di chirurgia fiscale come il taglio del cuneo fiscale, possono aiutare ad appesantire le buste paga? Roventini ha pochi dubbi, la risposta è no. “Il taglio del cuneo va nella direzione opposta della produttività, perché le imprese se debbono competere comprimono il costo del lavoro piuttosto che spingere sulla produttività. Per questo la madre di tutte le riforme è l’introduzione del salario minimo. Laddove questa misura è stata introdotta, la produttività è aumentata e il mercato del lavoro ne ha beneficiato”.
Insomma, “bisogna subito introdurre subito il salario minimo e va riformata la legge sulla rappresentanza e irrigidito il mercato del lavoro, scoraggiando i contratti pirata”. Il grande tema che non può mancare, è l’Intelligenza Artificiale. Per molti, l’Apocalisse del lavoro, per tanti altri, un’opportunità da cogliere. “Non è possibile avere una risposta definitiva, certamente in passato le innovazioni tecnologiche hanno creato più posti di quanti ne hanno distrutti. Con l’Intelligenza Artificiale potrebbe essere il contrario, bisogna essere per questo pronti. I suoi effetti nel nostro Paese sono ancora incerti, ma di sicuro bisognerà posizionare bene il mercato, per esempio sul fronte della transizione, dove secondo alcuni studi, l’avvento dell’AI creerà più posti di quelli che spariranno”.