L’Italia, che ospita il G7, si presenta al cospetto dei grandi della Terra come leader globale di tradizione e innovazione, grazie alla forza di 4,7 milioni di piccole e medie imprese. Negli ultimi cinque anni, il valore dell’export è cresciuto di 9,2 punti percentuali. Sull’esportazione di macchinari hi-tech il valore delle operazioni supera i cento miliardi di euro. E per la creazione di posti di lavoro le Pmi sono imprescindibili. Colloquio con il presidente di Confartigianato, Marco Granelli
Oltre la geopolitica, c’è un interesse nazionale che cammina sulla spina dorsale del sistema produttivo italiano. Il G7 di Bari rappresenta per il nostro Paese, come ha ribadito a più riprese anche la premier Giorgia Meloni, un’occasione straordinaria di posizionamento politico fra i grandi della Terra. Ebbene, in questa compagine, l’Italia si presenta come “il leader globale di tradizione e innovazione, grazie alla forza di 4,7 milioni di piccole e medie imprese”. A dirlo nella sua intervista a Formiche.net è il presidente nazionale di Confartigianato, Marco Granelli.
Presidente Granelli, in che modo la forza del Made in Italy può rappresentare un valore aggiunto in questo G7?
Il Made in Italy è un brand che colloca il nostro Paese al vertice del mondo sotto tanti aspetti. In queste parole è racchiuso molto di più rispetto a un crudo dato numerico. Ci sono i nostri valori che, appunto, coniugano innovazione e tradizione. Cultura, export, occupazione di qualità.
A proposito di numeri, a quanto ammonta l’export delle imprese artigiane?
Dipende dal settore. Nel settore della moda, ad esempio, abbiamo registrato un incremento sostanzioso – registrato dal nostro centro studi – che riporta un dato che supera i 64 miliardi di euro. Solo per quel segmento produttivo. Molto bene anche il settore dei macchinari hi-tech.
Di che cifre parliamo?
Vantiamo un export di macchinari ad altissimo valore tecnologico, delle vere proprie eccellenze in termini di avanguardia, che ammonta a oltre 100 miliardi di euro. Ed è per questo che parliamo, a ragione, del nostro Paese come di un player fondamentale in termini di innovazione. In termini complessivi, valutando l’arco temporale degli ultimi cinque anni, il valore dell’export è cresciuto di 9,2 punti percentuali. Questo è un valore che conferma un ottimo posizionamento e un’economia dinamica.
Gli ultimi dati Istat a disposizione certificano un livello di crescita piuttosto elevato in termini occupazionali, un vero e proprio record. In questo frangente, qual è il contributo del sistema delle piccole e medie imprese?
Le nostre imprese artigiane rappresentano un tassello imprescindibile in termini di creazione di posti di lavoro. Da tempo sottolineiamo una robusta domanda di posti di lavoro nelle realtà produttive sui territori. Anche in questo caso, i dati ci aiutano a restituire la dimensione dell’importanza delle Pmi. Negli ultimi due anni, l’incremento di posti di lavoro è stato pari a 4,5 punti percentuali. Un milione di lavoratori assunti.
Un tema cardine per rendere le aziende competitive è quello della sostenibilità. Come si è adeguato a questa esigenza il modello dell’impresa artigiana?
Ci sono tanti parametri per valutare la sostenibilità delle nostre imprese. Innanzitutto esiste un processo culturale, in corso, ma decisamente consolidato fra i nostri imprenditori: la sostenibilità non è un costo, ma un investimento. Ebbene, la quota di rifiuti riciclati dalle nostre imprese – tanto per citare un caso esemplificativo di modello virtuoso in termini ambientali – è pari all’83,4%.
Cosa ci rende, dalla sua prospettiva, un player importante e credibile sotto il profilo manifatturiero agli occhi del mondo?
Concorrono una seria di fattori. Ma senz’altro noi abbiamo, rispetto ad altri Paesi, una fortissima territorialità. Basta pensare che le Pmi annoverano 141 distretti produttivi disseminati in tutto il Paese, oltre mille specializzazioni manifatturiere territoriali e una presenza capillare ovunque. Abbiamo una piccola o media impresa ogni tredici abitanti.