“È necessario fare come ha fatto Giovanni Falcone con la mafia: bisogna cercare i soldi”. L’ex alto dirigente del Mossad e dello Shin Bet israeliano, Uzi Shaya, spiega, durante un incontro con i giornalisti, i canali di finanziamento di Hamas e di Hezbollah attraverso i quali si concretizzano le minacce a Israele
A minacciare l’esistenza stessa di Israele sono le organizzazioni terroristiche che operano in Medio Oriente, ma a consentire loro di armarsi e di fare propaganda sono i finanziamenti che ricevono dall’estero e non solo dai Paesi del Golfo ma anche dall’Europa. Per questo dopo il 7 ottobre la lotta ad Hamas non può essere solo militare ma anche finanziaria perché Israele ha deciso di bloccare le sue fonti di finanziamento.
A dirlo è l’israeliano Uzi Shaya, ex alto funzionario dei servizi segreti Shin Bet e Mossad. In base alla sua esperienza per combattere il terrorismo “bisogna fare come ha fatto Giovanni Falcone con la mafia: bisogna cercare i soldi”. Lui è un esperto che lavora da 20 anni per ricostruire la pista dei finanziamenti che alimentano Hamas. In un colloquio con alcuni giornalisti italiani, spiega che Hamas ha un budget annuale valutato 1,5 miliardi di dollari. Una quota importante di questa somma arriva dal Qatar e dall’Iran che sono i principali finanziatori del gruppo. Ma importante è il ruolo delle Ong che raccolgono soldi per la causa palestinese, in particolare quello giocato dalla Al-Quds Foundation con sede in Libano. Gli Stati Uniti hanno sanzionato questa organizzazione ma non chi c’è dietro, l’uomo d’affari yemenita Hamid al Ahmar, che ha società anche in Turchia. Paese dove pochi mesi fa è morto un’altro sceicco yemenita, leader storico della Fratellanza musulmana, Abdel Majid al Zindani.
In crescita anche il business delle società collegate ad Hamas, in buona parte stabilite in Turchia. Uno dei business man in ascesa è il figlio di Musa Abu Marzouk, membro dell’ufficio politico del gruppo. Ma anche i leader operativi di Hamas posseggono ingenti fortune. Yahya Sinwar ad esempio ha un conto corrente congelato dalle autorità europee in Francia di 4 milioni di dollari. Con l’attacco terroristico del 7 ottobre contro Israele e la conseguente offensiva su Gaza sono aumentati i fondi raccolti dalle Ong in Europa e negli Stati Uniti. Si parla di 115 milioni di dollari che sono però fermi nei Paesi dove sono stati raccolti in attesa della fina della guerra. Questi soldi sono stati raccolti grazie al fatto che Hamas fa parte dell’internazionale dei Fratelli musulmani che, secondo l’analista israeliano, “è protetto dal Qatar Paese che a volte è da considerare peggio dell’Iran”.
“Purtroppo i Paesi occidentali hanno operato una sorta di separazione tra il braccio militare ed il braccio civile dell’organizzazione terroristica”, sottolinea l’ex Mossad. “Siccome il braccio civile si occupava soprattutto di istruzione ed assistenza sociale, tutto sembrava essere a posto. Un errore tragico commesso anche da Israele. Con il benestare dello Stato di Israele, il Qatar ha finanziato ufficialmente Hamas, ogni anno, con circa 360 milioni di dollari. All’inizio abbiamo permesso che questi fondi arrivassero a Gaza nelle valigie, poi il denaro è giunto attraverso le Nazioni Unite, utilizzando canali bancari”. In aggiunta, tramite le sue Ong, il Qatar ha fatto arrivare ad Hamas altri 70-80 milioni di dollari all’anno. Sommando i soldi per mantenere a Doha i leader di Hamas e le loro famiglie, il supporto qatariota ai terroristi palestinesi “ammonta a circa mezzo miliardo di dollari l’anno”. Discorso a parte l’Iran, che secondo i conti di Shaya ha finanziato Hamas, ogni anno, con somme “tra 100 e 150 milioni di dollari. Destinati esclusivamente alle attività militari”. Denaro che in gran parte arriva passando dai “money change” libanesi a quelli turchi, e questo perché a Istanbul ci sono il centro finanziario e l’ufficio militare di Hamas. Il valore degli asset delle aziende legate ad Hamas in Turchia “ammonta a circa 700 milioni di dollari”.
Il sistema finanziario di Hezbollah libanese desta maggiori preoccupazioni nelle autorità israeliane rispetto a quello di Hamas, in quanto è molto più grande di quello del gruppo palestinese. Alla base della forza di Hezbollah c’è la possibilità di trovare copertura e protezione nel sistema finanziario libanese oltre che nei finanziamenti provenienti dall’Iran. Il fulcro di questo sistema è quello di un ente benefico che di fatto opera come una banca vera e propria che si chiama Al-Qard Al-Hasan Association. A parte il sistema Swift dal quale è fuori, in Libano opera come una vera e propria banca con oltre 20 filiali, sportelli Bancomat e altri servizi di finanziamento.
Ad aiutare la crescita di questa banca del gruppo sciita c’è anche la forte corruzione del sistema pubblico libanese e la crisi finanziaria che ha colpito Beirut consentendo a questo gruppo di essere l’unico ad avere liquidità per la popolazione locale. “Siamo riusciti a scoprire la forza di questo ente – ha aggiunto Shaya – nel 2020 grazie ad un attacco hacker che ha permesso la pubblicazione di molti documenti della banca, compreso i nomi dei correntisti, compresi alcuni italiani, e gli 80 conti legati a formazioni terroristiche”. Va considerato che il Libano è un Paese dove è possibile entrare con grosse quantità di denaro da versare proprio in questo tipo di banche. Un altro mezzo usato da Hezbollah per il riciclaggio e il suo finanziamento è l’agenzia transfer denominata “Wish” che utilizza il metodo della Hawala, molto caro alle formazioni islamiche in Medio Oriente.
Resta il fatto che il 70 per cento dei finanziamenti a Hezbollah vengono dall’Iran e grazie a Teheran la formazione libanese gode di una struttura di propaganda attiva in tutto il mondo al punto da essere presente anche in Paesi africani come la Costa d’Avorio e di avere un ruolo nel traffico di droga dall’America Latina al Medio Oriente. Hezbollah è quindi un proxy dell’Iran al confine con Israele e per questo desta forte preoccupazione. “In particolare si registra un aumento delle donazioni ad Hamas come ad Hezbollah dopo il 7 ottobre – spiega Shaya – molti di coloro che donano sono spinti da buone intenzioni e non sanno in mano a chi vanno i loro soldi mentre per noi la caccia alle fonti di finanziamento del terrorismo è semplicemente una lotta per la sopravvivenza”.