La parliamentary diplomacy statunitense passa per l’India, dove incontra il neo rieletto leader Modi e soprattutto il Dalai Lama. Pechino, nervosa, minaccia reazioni
Una delegazione bilaterale del Congresso degli Stati Uniti ha incontrato il Dalai Lama, il leader spirituale tibetano, a Dharamshala, in India, mercoledì pomeriggio. È un incrocio di situazioni che ha innervosito Pechino, che considera il premio Nobel per la pace un pericoloso separatista e si è detta “molto preoccupata” della visita, promettendo “dure rappresaglie” se il presidente Joe Biden dovesse firmare il cosiddetto “Resolve Tibet Act” — una legge che cerca di spingere Pechino a tenere colloqui con i leader tibetani, in fase di stallo dal 2010, per garantire un accordo negoziato sul Tibet e spronare la Cina ad affrontare le aspirazioni del popolo tibetano sulla propria identità storica, culturale, religiosa e linguistica.
“Esortiamo gli Stati Uniti a riconoscere pienamente la natura anti-cinese e separatista della cricca del Dalai Lama, a rispettare i suoi impegni sulle questioni legate al Tibet, ad astenersi da qualsiasi forma di contatto con esso e a smettere di inviare messaggi errati”, ha dichiarato il ministero degli Esteri cinese. E ancora: “Esortiamo gli Stati Uniti a onorare il proprio impegno di riconoscere il Tibet come parte della Cina e a non sostenere l’indipendenza tibetana, e a non firmare il suddetto disegno di legge”.
L’ex Speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, membro della delegazione che ha abbracciato il leader tibetano, ha detto: “Sua santità il Dalai Lama, con il suo messaggio di conoscenza, tradizione, compassione, purezza dell’anima e amore, vivrà a lungo e la sua eredità vivrà per sempre. Ma tu, presidente della Cina, te ne andrai e nessuno ti darà credito di nulla. Il Dalai Lama non approverebbe che io critichi il governo cinese, lui dice ‘Nancy, preghiamo affinché (la Cina, ndr) si liberi dai suoi atteggiamenti negativi’. Spero che oggi mi perdonerà”. E ancora: “Il cambiamento è in arrivo”.
Il Dalai Lama risiede nella città indiana da quando è fuggito dal Tibet nel 1959 dopo un tentativo di rivoluzione indipendentista. L’amministrazione Biden ha parlato poco della visita, ma tra le photo opportunity rilanciate dai legislatori, certe dichiarazioni e le antenne sempre alte di Pechino su ciò che accade riguardo dossier considerati delicatissimi dal Partito/Stato, hanno fatto in modo che la questione sia finita sulla stampa internazionale.
La delegazione, che comprende anche il repubblicano Michael McCaul, presidente della commissione Affari esteri della Camera, si trova in India per una serie di impegni, tra cui incontri con funzionari e dirigenti d’azienda. I deputati americani hanno anche avuto un colloquio riservato con il neo rieletto primo ministro Narendra Modi — che già nei giorni scorsi aveva ospitato il team tecnico guidato dal Consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan.
Non c’è dunque solo la chiacchierata con il leader tibetano, ma anche la sovrapposizione con l’incontro con Modi. Ossia, la parliamentary diplomacy statunitense, dopo Taiwan, tocca il Tibet via New Delhi, che Pechino vede come principale rivale nell’Indo Pacifico. Sovrapposizioni sensibili. Tanto che alcuni commentatori indiani temono addirittura che la visita a Dharamshala sia stata eccessivamente provocatoria e che i legislatori statunitensi abbiano usato il suolo indiano non per sostenere le istanze tibetane, ma più che altro per fare un dispetto alla Cina.
New Delhi ha comunque approvato l’incontro con il Dalai Lama ed è molto possibile che nei fatti lo consideri un elemento positivo, data l’intensità della sua competizione con Pechino. Certo, adesso c’è il rischio che la Cina si muova contro l’India, per esempio intensificando le provocazioni lungo il loro confine conteso. Questo (dis)equilibrio delicato è molto considerato da una parte di opinion leader/maker indiani, che vorrebbero evitare che il Subcontinente finisca oggetto della competizione tra potenze U.S. vs China.