Il Consiglio europeo chiede “prova di moderazione” sul confine israelo-libanese, dove Hezbollah infiamma i cieli dello Stato ebraico. La possibilità che il fronte passi da scontri a bassa intensità a guerra aperta è sempre più concreta, secondo le spifferate dell’intelligence americana
Una salva di razzi lanciati da Hezbollah ha riempito il cielo di Safed (e i social network). La città appena a nord del Mare di Galilea è stata protetta dall’Iron Dome, il sistema anti-areo che fa da scudo allo Stato ebraico (nella foto che accompagna questo articolo ogni puff rappresenta un razzo della milizia libanese fatto esplodere in aria). Ma quanto accaduto alza ancora la tensione, già elevatissima, al confine tra Israele e Libano. Migliaia di famiglie sono state evacuate repentinamente mentre i radar individuavano gli attacchi, migliaia di ettari di foresta stanno bruciando perché i rottami infuocati sono caduti in zone secche per la stagione.
“Non vogliamo entrare in una guerra, perché non è un bene per Israele. Abbiamo la capacità di riportare il Libano all’età della pietra, ma non vogliamo farlo”, ha detto il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant — appena rientrato da Washington, dove ha avuto una serie di incontri per brieffare l’alleato sulla situazione in corso. Il risico di una deriva è sempre più evidente, tanto che dopo il tour di Gallant il dipartimento di Stato ha invitato gli americani a “riconsiderare” piani di viaggio in Libano (sebbene la decisione non è detto sia legata alla visita del ministro israeliano).
Anche se gli americani hanno già avvisato tramite i backchannel Hezbollah che non avrebbero potuto frenare Israele — con un avvertimento insolito — nei prossimo giorni il consigliere per il Medio Oriente della Casa Bianca, Amos Hochstein, sarà a Parigi. Gli Stati Uniti pensano che la finestra per la diplomazia sia molto stretta, ma non chiusa del tutto. L’intelligence statunitense fa filtrare sui giornali la preoccupazione – rischio guerra aperta “nel giro di poche settimane”, se continua così – e il coinvolgimento francese è una carta da tentare, per l’ascendente che il Paese europeo ha sul Libano e per la capacità che ha di comunicare direttamente con Hezbollah.
“È pericoloso pensare che una grande guerra sia improbabile perché nessuna delle due parti vuole la devastazione che porterebbe”, commenta Firas Maksad, senior fellow del Middle East Institute. “La storia è piena di guerre che i belligeranti preferirono evitare ma non lo hanno fatto perché ciascuno preferiva ancor meno l’alternativa. Questa è la classica teoria dei giochi delle relazioni internazionali”.
Il quadro ha doppia criticità. Benjamin Netanyahu è sotto pressione per non arretrare con Hezbollah mentre si continua a lavorare su un cessate il fuoco con Hamas su Gaza, che potrebbe costargli il governo — dato che le fazioni più estremiste della maggioranza non gli garantirebbero la fiducia. Hezbollah vuole dimostrare a Israele di non temere le conseguenze di una guerra, anche se in realtà le teme, e di poter aumentare la pressione militare per indurre lo stato ebraico ad accettare la tregua a Gaza (evoluzione da cui trarrebbe vantaggio narrativo e creerebbe caos istituzionale in Israele).
Siamo davanti a un punto di flessione: o ci sarà un’evoluzione diplomatica, con cui Hezbollah e Israele accettano di fermare gli attacchi transfrontarieli che vanno avanti a bassa intensità sin dal 7 ottobre (quando l’attacco di Hamas contro Israele ha aperto l’attuale stagione di guerra); oppure si rischia una guerra aperta (che trova una base nell’assenza di una pacificazione dopo il conflitto tra Israele e Hezbollah del 2006).
Il lavoro di Hochstein e di tutta la diplomazia invisibile in corso in queste ore sarà di scongiurare tale deriva. Attive le feluche regionali, tra queste anche quelle saudite (che con la visita del ministro della Difesa in Cina hanno anche provato al carta incrociata Pechino-Teheran, secondo informazioni non ufficiali). Coinvolto anche l’Iraq: un ingresso in guerra di Hezbollah è da scongiurare per Baghdad perché potrebbe trascinare nella mischia anche le milizie sciite irachene (come per esempio la Kataib Hezbollah), che sono collegate ai Pasdaran e vedono nell’organizzazione libanese un fratello maggiore da proteggere.
Anche il Consiglio europeo si è espresso a proposito, e nel documento conclusivo della riunione di ieri, giovedì 27 giugno, oltre alle espressioni classiche per evitare escalation e richiedere il cessate il fuoco a Gaza, porta una sezione specifica (al punto 22) sulla situazione in Libano. Il vertice europeo esprime preoccupazione per l’aumento delle tensioni nella regione, in particolare lungo la Linea Blu, nonché per la crescente distruzione e lo sfollamento forzato di civili su entrambi i lati del confine israelo-libanese.
“In linea con la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Consiglio europeo esorta tutti gli attori a dar prova di moderazione, a prevenire un’ulteriore escalation e a partecipare agli sforzi diplomatici internazionali. Il Consiglio europeo condanna con la massima fermezza qualsiasi minaccia nei confronti degli Stati membri dell’Ue, che contribuisce altresì all’escalation, e ribadisce la sua ferma solidarietà nei confronti degli Stati membri”.
Questo ultimo riferimento è alla minaccia avanzata da Hezbollah contro Cipro, accusata dal leader dell’organizzazione libanese, Hassan Nasrallah, di aiutare lo Stato ebraico. In realtà Nicosia non dà appoggio tattico a Israele, ma in passato ha concesso il proprio spazio aereo a esercitazioni israeliane (che simulavano azioni contro il territorio libanese). In questi giorni il Mediterraneo orientale vive una fase particolarmente movimentata: la porterei americana Eisenhower è recentemente entrata in quell’area di operatività, parte di rotazioni che potrebbero anche servire a evacuare il Libano nel caso di guerra con Israele.