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Cosa ha imparato Bergoglio da Papa Giovanni XXIII

Angelo Roncalli, naturaliter sacerdote, che spiega nel Suo “Giornale di un’Anima” che non fa progetti per sé stesso, che è, appunto, una “nave tra i flutti di Dio”, è la sintesi di questo particolare rapporto tra Terra e Mare, che Carl Schmitt vede coma nascita dell’Ordine Politico, è il contadino (quanta bellezza e, da veneto, fierezza in questa parola) che si muove come veneziano tra le onde del Tempo, che si abbandona alla Volontà della Santa Trinità, che è sempre, e questo il giovane sacerdote Roncalli lo sa bene, per il bene di tutti gli Uomini.

Roncalli, da Papa ma anche prima, insegna alla Chiesa l’ascolto. Basta con la superbia ereditata da una ormai fittizia religiosità tutta politica e conservatrice, in mano ai regimi politici europei, occorre ascoltare gli altri, Imago Dei come il mio vicino, siamo tutti prossimo, amava ripetere Don Roncalli, e è inevitabile aprirsi al mondo extraeuropeo, in Oriente come in Asia o in America Latina, o nelle lande desolate dell’Occidente senza Dio, ed è bene ricordare qui che uno dei più solidi sostenitori del “papabile” Roncalli fu il potente cardinale di New York, Francis Spellman. Capire la miseria del mondo moderno vuol dire metterla in comunicazione con la povertà delle favelas o delle villas miseria dell’America del Sud, capire l’emarginazione dell’Occidente, che sta diventando marginalità geopolitica dopo la globalizzazione successiva alla “guerra fredda”, vuol dire connettere i poveri dello spirito, della mancanza dello Spirito, con quelli che non hanno pane né vino né vesti. Le due povertà si sommano e si sovrappongono, lo capì bene Giovanni XXIII nella sua enciclica centrale, la Pacem in Terris.

Certamente, è ancora grazie alla gestione del Vaticano di Giovanni XXIII che la “crisi dei missili” di Cuba viene risolta, e guarda caso, si trattava di una crisi scoppiata proprio dalla scoperta, da parte dei Servizi sovietici, dei missili puntati sull’URSS dislocati nella sua amatissima Turchia.
Tutti quelli che, nei “Master” di politica internazionale, studiano la “crisi dei missili” come un caso di specie ottimale, dovrebbero ricordarsi che fu proprio la Curia di Giovanni XXIII, con la abituale riservatezza di chi opera per questo e anche per l’Altro Mondo, attivata dal Papa, a trovare il canale verso John F. Kennedy, il primo presidente USA cattolico, e a garantire della propria efficacia diplomatica e operativa Nikita Khruscev, prigioniero dei “duri” del Cremlino, che cercava solo una via onorevole per “salvare la faccia” e non fare la fine di Kirov, Trotzky, Bucharin (che sarà il riferimento di Togliatti a Mosca) e di Beria, tutti distrutti dalle lotte per il potere interne alla élite sovietica, una delle classi dirigenti più “frazioniste” che la storia politica ricordi.

Krusciov cercava la “coesistenza pacifica” per prolungare l’agonia di un sistema inefficiente, e viene in mente qui la battuta di un ministro sovietico a Kissinger: “abbiamo tante fabbriche sulla carta che producono soldi veri…” Papa Giovanni, buono ma non certo “baggiano” come i brianzoli e i bresciani, tanto per seguire il tenero provincialismo che spesso Loris Capovilla notava, scherzosamente, nel Papa Roncalli, sapeva che il regime dei Soviet era destinato a cadere, leggeva e si faceva tradurre i samizdat dell’opposizione, ma sapeva anche che uno scontro globale, inevitabilmente nucleare, avrebbe distrutto l’intera umanità, e questo era il peccato sommo davanti a Dio e a Sua Madre, che stimolava alla preghiera contro un destino già segnato ma che si poteva ancora deviare, come deviò la pallottola destinata a Papa Woytila in Piazza San Pietro…

Ci vorrà un grandissimo diplomatico italiano, Silvio Fagiolo, per far scoprire agli analisti occidentali, ingenuamente ossessionati dal supposto monolitismo sovietico, come il PCUS fosse una sequenza di correnti da far impallidire anche la nostra Democrazia Cristiana.
Perfino separate, le aree della leadership sovietica, nei conti “coperti” gestiti in Svizzera.

Senza Pace non vi è salute economica, senza Giustizia non vi è Pace, senza Pace non vi è Libertà. La pace, che non è resa, si fa con la mobilitazione della società, non solo e non tanto con la mobilitazione politica.

E’ quindi iniziato con Giovanni XXIII quel lento spostamento degli equilibri vaticani dall’Italia verso il grande mondo che si realizza con Papa Woytila, primo Vescovo di Roma non italiano dopo quasi quattro secoli, e che oggi ha una ulteriore e, speriamo, radicale manifestazione con Papa Francesco? E’ molto probabile. Giovanni XXIII guardava, da espertissimo diplomatico, alla Francia, alla Turchia, dove era stato Nunzio e che leggeva come “Porta d’Oriente” non meno importante oggi del vecchio Impero Ottomano, agli Stati Uniti del suo amico cardinale Spellman, alle chiese “del silenzio” nella Russia sovietizzata, perfino all’India di teologi radical e illuminati come Panikkar.

E’ l’esperienza diplomatica, che è esercizio politico della carità cristiana, che gli permette di avere al Concilio Vaticano II il cardinale Slipiy, che consegnerà al Papa Roncalli la mappa dei lager sovietici, e che balbettava, per il povero e infantile divertimento dei padri concistoriali più ignari; ma Papa Roncalli sapeva benissimo che il prelato ucraino era stato ridotto in quel modo dalle torture della polizia segreta sovietica, e sarà solo con la diplomazia della carità che potrà arrivare a Roma il cardinale Wyshinsky, tenuto prigioniero dai comunisti polacchi, e che sarà il vero pedagogo politico e spirituale di Karol Woytila.

Senza Papa Roncalli, nessuna nuova egemonia della Chiesa Cattolica nel mondo globalizzato, con Papa Woytila e poi Ratzinger, per arrivare alla vera e propria rivoluzione, ancora agli albori, di Francesco, che sta imponendo gli Esercizi di Sant’Ignazio al mondo, per poi salvarlo.

L’idea di convocare un Concilio Universale Vaticano II, oltre a un Sinodo e a una Comunione dei Vescovi di Roma e dei loro coadiutori, nasce in Giovanni XXIII, come spesso accade con le svolte storiche, in un attimo di rivelazione e illuminazione psicologica.
Molti Padri concistoriali avevano eletto il già vecchio, almeno secondo gli standard dell’epoca, Cardinal Roncalli, come “papa di transizione”, non si sa verso cosa, magari verso un attento esecutore degli ordini della Curia, che rimane in Vaticano, mentre i Papi passano.

Oppure i padri più “conservatori” volevano un semplice ripetitore della forma del messaggio evangelico, priva inevitabilmente, man mano che il tempo passa, della sua sostanza fatta di sacrificio, sensibilità, carità verso tutti gli uomini; oppure ancora volevano un semplice esecutore della nuova crociata contro il comunismo ateo e materialista, magari dimenticandosi del materialismo ateo di quella “società dei consumi” che, per la prima volta, si affacciava in Occidente proprio negli anni di preparazione al Concilio.
Papa Roncalli, il Santo Contadino, abituato a camminare lentamente per raggiungere un lungo punto di arrivo, che nessuno vede, voleva aggiornare la Chiesa per farla dialogare con il mondo moderno, non voleva far entrare il mondo moderno senza filtri nella Chiesa.

Per questo, già malato, lasciò briglia sciolta, all’inizio, alle diatribe dei “conservatori”. La questione della lingua nella quale dire i Sacramenti, problema essenziale per la Liturgia, fu trattata dal Concilio Vaticano II con la giusta lentezza, poiché si sapeva quanto fosse necessario, al Sacro, l’unità delle lingue e degli intenti.
Papa Giovanni fece decantare le tensioni, e si giunse, nella fase preparatoria del Concilio, quella sulla questione liturgica, ad una vittoria sostanziale di entrambi gli schieramenti.
Occorre parlare a tutti, ma senza mai perdere la dignità e la percezione, da conferire appunto a tutti, che si è portatori, indegni forse, di Cristo Vivente, non di una nuova “ideologia” o soluzione semplicistica, da Dulcamara nell’Elisir d’Amore, per i mali degli uomini.

Per risolvere quei mali occorre andare oltre l’Uomo, verso Cristo che si è fatto uomo proprio per salvare l’umanità e ognuno di noi.
La semplificazione del rito papale fu certamente visibile nel pontificato di Giovanni XXIII, che voleva comunicare con tutti e non affermare trionfalisticamente un Papa Re ormai definitivamente abbandonato dalla Storia, provvidenziale, del Mondo.

Ma mai Giovanni XXIII perse la sensazione, da vecchio diplomatico esperto, che il rispetto non solo si conquista con la fiducia e la carità, ma lo si mostra sempre con le dovute forme, senza offendere nessuno ma con la Santa Faccia Tosta di chi è sicuro di avere un Amico che non tradisce mai.

E’ da quei momenti, all’inizio del Vaticano II, nato da una intuizione venuta al Papa Roncalli durante una discussione con l’amato cardinal Tardini, suo stretto e fidato collaboratore, che Giovanni XXIII si pone, con ogni evidenza, due obiettivi paralleli, che poi saranno in gran parte raggiunti negli anni successivi.

Se non ci fosse stato il Vaticano II, in cui Giovanni XXIII riuscì a controllare la fazione conservatrice (e in gran parte italiana) dei cardinali, Papa Giovanni Paolo II, successore di un altro Primate della Chiesa di Venezia, Papa Luciani, non avrebbe potuto dichiararsi fattivamente contrario alla prima e alla seconda guerra in Iraq, che ricostruiva una nuova frattura, quella tra Islam e Occidente, la quale ripeteva gli errori e le ingenuità del vecchio contrasto tra Est comunista e Ovest liberista o socialdemocratico.

Guerre che hanno creato vuoti geopolitici di potere che nessuno, oggi, è in grado, realisticamente, di colmare, nemmeno il disastroso e criminale jihadismo qaedista. Siamo tutti occupati in guerre che stanno creando i nuovi veri confini della Terra, e il pacifismo di Papa Giovanni XXIII, la sua rivoluzionaria Pacem in Terris, è quanto mai attuale. E va ripreso, secondo me, nei termini esatti nei quali fu posto da Papa Roncalli.

Creare il Nemico, costruirlo e nutrirlo di odio, una operazione che Papa Roncalli, memore della sua passione per l’Oriente e della sua conoscenza dei rapporti tra Cristianesimo e Islam, non avrebbe mai accettato come regola della Sua azione mondana, diplomatica e spirituale.
Papa Roncalli, Nunzio in Turchia, si adatta senza far rumore alle leggi e ai costumi di quel Paese, si fa addirittura produrre un doppio-petto borghese, visto che Ataturk ha proibito ogni abito religioso, e manda la foto in “borghese” alla famiglia, con una dedica divertita.

E, certo, non si costruisce il Nemico per creare un cuscinetto tra Arabia Saudita e Iran sciita, destabilizzando l’Afghanistan, tomba degli Imperi da Alessandro agli Inglesi fino ai sovietici, per poi ricreare un punto di contatto esplosivo tra lo sciismo duodecimano dell’Iran di Khomeini e il Pakistan rigidamente sunnita.Altra sutura pericolosa, che farebbe saltare, se incendiata a dovere, l’India del Nord e l’area islamista della Repubblica Popolare Cinese.

Papa Roncalli avrebbe accettato l’amicizia dell’Islam, lo avrebbe domato con l’amore che è sempre gratuito, avrebbe fatto scoprire al fanatismo risorgente ciclicamente tra i maomettani il ruolo e il significato di Israele e dell’ebraismo diasporico, e l’Amore di Dio, che opera sempre per le sue segretissime vie, avrebbe davvero fatto il miracolo, appena in tempo, forse. L’Amore disarma più di un Trattato, è più forte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è più credibile di una analisi kissingeriana o di una azione furbissima di Vladimir Vladimirovic Putin, che oggi “tiene” la Federazione Russa grazie anche ad un patto di ferro con la Chiesa Ortodossa, quella che distribuiva icone bellissime con la Madonna e, appena sotto, il “piccolo padre”, Stalin.

Giovanni scrisse la Pacem in Terris, l’enciclica più significativa del suo pontificato, sull’onda della sua esperienza della guerra fredda.
Era la messa “in bella copia” della capacità, da parte di un uomo certamente Santo, Uomo di Dio quanto altri mai in quegli anni, di mediare tra due sistemi che non dialogavano tra di loro e che stavano andando verso una confrontation globale.
I russi dei Sovieti, eredi dei Cosacchi e degli Sciti, dovevano espandere il loro Imperium a pena di collassare economicamente, come le orde sarmatiche dopo che hanno distrutto i pascoli naturali.
L’Occidente pagava un Imperium per sostenere il suo sviluppo tecnologico, e per evitare di essere accerchiato (era capitato già con Cuba, rivoluzione del Caudillo Castro, affascinato in gioventù da Peròn) dalle masse comandate, tramite la povertà, dai Sovieti.

La “Pacem in Terris”, pur parlando di salvezza e del Cristo, Salvatore eterno di tutti gli uomini, colpì al cuore questo meccanismo, e mostrò che si poteva uscire dal paradosso atomico con la Parola della Tradizione, l’unica che parli a tutti di tutti.
Una rivincita della teologia contro la tecnologia, una vittoria della “sovrastruttura” religiosa, che oggi viene ridicolizzata soprattutto dal “mondo libero”, contro le strutture tecnoeconomiche, una vittoria del semplice contro il complesso, la vittoria, infine, degli uomini contro le macchine e le tecnostrutture, del semplice uomo della strada, contro i sapienti della Tèchne.

In Europa, le “domeniche a piedi” e la fine dello Stato del Benessere radicalizzano i contrasti che già si erano manifestati con il sessantotto in Francia, che De Gaulle legge perfettamente come una operazione behind the lines dei Russi, edotto in ciò dal Generale Massu, che garantirà il suo appoggio al rientro pacifico del regime di De Gaulle.
In Italia, i cattolici parteciperanno almeno in parte al rinnovamento caotico e spesso infantile della “società”, termine ossessivo in quegli anni.

Ma saranno capaci, soprattutto, di trasformare il Partito dei Cattolici in una struttura capace di adattarsi e sedurre i tanti partiti che ruotano intorno ad essa, sarà il “partito della modernizzazione italiana”, certo ambigua e incompleta, ma sempre di una trasformazione radicale si trattò, nel costume, nei consumi, negli stili di vita, nella sessualità, nello stesso dibattito politico.
Tutto questo, senza il Concilio, il capolavoro sapienziale e politico che lo Spirito Santo induce su Papa Giovanni, non sarebbe successo.

E senza il Concilio, primissima apertura ad Est alle “Chiese del Silenzio” e a Sud, nelle villas miserias delle “vene aperte dell’America Latina” non ci sarebbe stata la fine del Sistema sovietico, atteso non nella sua postura guerresca, che si era fracassata in Afghanistan, ma nella sua capacità di rispondere alle necessità, non solo materiali, dell’uomo semplice, del cittadino comune, di quell’uomo tra tutti a cui parla, da sempre, la Chiesa. Ecco il nesso tra rinnovamento e tradizione, che il Concilio, misticamente prodotto nell’anima di un uomo semplice e infinitamente sapiente, a sua agio con Mauriac e con i preti etilisti in cerca di un’”ombra” nella Sua Venezia, capace di parlare di carezze da dare ai bambini e non di strane e complesse teologie, che pure conosceva meglio di tanti altezzosi professori, capace infine di essere strumento della Volontà di Dio nello “scremare” la realtà, come diceva a Loris Capovilla; e insieme, di essere, nella sua epoca, l’”uomo dell’anno” di una stupita e protestantica rivista TIME e adorato da tanti semplici sudditi dell’Imperium sovietico, che solo la sua sapienza povera e di profonda semplicità riuscirà, dopo la sua morte, a distruggere.

Ecco perché portava sempre con sé l’”Initazione di Cristo” di Tommaso da Kempis. Era quella la sua guida, come Alter Christus che annuncia la Salvezza a tutti, ma proprio a tutti.

Estratto da “Discorso su Papa Giovanni XXIII” di Giancarlo Elia Valori 
Honorable des Academie des Sciences
de l’Institut de France

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