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Grandi banche ai saluti in Cina. Così il Dragone ha spaventato la finanza

Solo un anno fa i grandi banchieri americani tentavano l’approccio con Pechino. Ma a distanza di un anno è tempo di alzare bandiera bianca, l’economia cinese è troppo fragile per investire

E pensare che giusto un anno fa Jamie Dimon, capo indiscusso di Jp Morgan, prima banca americana, era volato in Cina pieno di belle speranze. Forse fiutando i nuovi venti di guerra commerciale, il banchiere statunitense simbolo della finanza pesante occidentale, quella che muove le fila di Wall Street, aveva tenuto nel Dragone un ciclo di incontri, per provare a mantenere intatti quei ponti costruiti, non senza fatica, anni addietro, persino durante la ben più muscolare amministrazione Trump.

Qualcosa però deve essere andato storto. Forse quelle sanzioni formato extra large, in grado cioè di abbattersi su qualunque banca o finanziaria in odore di affari con la Russia. O forse, l’anemia ormai conclamata dell’economia cinese. Fatto sta che per un buon pezzo di Occidente sembra essere arrivato il momento dei saluti. Come a dire, il mercato cinese perde appeal agli occhi delle banche di investimento occidentali, che procedono spedite nel ridimensionamento dei posti di lavoro.

Un esempio? Nel 2023 le sette divisioni delle principali banche occidentali (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, Deutsche Bank, Hsbc, Jp Morgan, Ubs), per effetti di un ridimensionamento dei ricavi, hanno tagliato i posti di lavoro su base annuale del 13%, portando il totale degli impiegati a 1.781. La colpa è del rallentamento dell’attività dei mercati dei capitali cinesi per effetto di una prolungata debolezza del settore immobiliare e dalle conseguenze delle crescenti tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino. Appunto.

“Le banche d’investimento occidentali si trovano in un circolo vizioso”, ha dichiarato Han Lin, direttore nazionale per la Cina della società di consulenza The Asia Group. “Un flusso di transazioni debole significa meno investimenti”. Tutto questo è avvenuto in un contesto, in cui le banche hanno eliminato, a livelli globale, più di 60 mila posti di lavoro nel 2023″. I tagli in Cina contrastano tuttavia con le precedenti speranze che l’attività nel Paese continuasse a crescere anche se rallentata altrove. Ma le cose non sono andate nel verso giusto, e le banche a questo punto sembrano aver perso la pazienza. Soprattutto in presenza di altri mercati asiatici, India in testa, ben più premettenti.

A proposito della Cina, lo scorso maggio, lo stesso Dimon aveva dichiarato che, negli ultimi mesi, parte delle attività di investment banking in Cina “erano  precipitate”, evidenziando le sfide che le istituzioni finanziarie occidentali devono affrontare nel settore dell’investment banking del Paese asiatico. Tutto questo quando mancano due settimane al Plenum del XX Comitato Centrale del Pcc, dal 15 al 18 luglio prossimi. L’evento, atteso entro la fine 2023 ma rinviato secondo indiscrezioni per divergenze, tratterà le riforme economiche e rimuoverà formalmente i membri caduti in disgrazia, tra cui gli ex ministri della Difesa Li Shangfu e degli Esteri Qin Gang.

 



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