A Trieste papa Francesco, durante il suo intervento alla Settimana Sociale, ha detto che la democrazia è partecipare e non parteggiare, non fare i tifosi ma dialogare. Con chi dialogano Melenchon e Le Pen? I francesi hanno partecipato al voto. Ma poi gli opposti estremisti stanno chiedendo loro di parteggiare, cioè di tornare tifosi… La riflessione di Riccardo Cristiano
C’era un tempo in cui i vocaboli “destra” e “sinistra” spiegavano tutto in politica. Era davvero così. Poi le cose sono cambiate e la Francia lo dimostra. Il cavallo di battaglia della signora Le Pen e quello del signor Melenchon, è stato lo stesso cavallo: cancellare la riforma delle pensioni firmata Macron. Entrambi propongono di tornare alla pensione fissata a sessant’anni e che Macron ha modificato, innalzando l’età. Ma né Melenchon né Le Pen dicono chi fece quella scelta pensionistica, che non era certo un loro simile, bensì il socialista Mitterrand. Lui la fece in un tempo diverso, quando questo era possibile con la crescita. Oggi la crescita non c’è e con questa tendenza demografica oltre che economica riproporre quel sistema vuol dire, purtroppo, affossare un Paese.
Questo piccolo indicatore ci spiega che in Francia le cose sono andate in modo assai indicativo, e il discorso pronunciato da papa Francesco proprio ieri a Trieste, a chiusura delle Settimane Sociali, ci spiega molto della distorsione dei nostri presupposti nell’analisi. Il fatto francese che va anteposto per distinguere lo specifico dal generale, è che in Francia la destra lepenista ha un tratto ritenuto da moltissimi francesi eversivo, nostalgico di Vichy (che in italiano equivarrebbe a indicare i nostalgici di Salò) e per questo la resistenza li ha sconfitti, perché nessun centrista, nessun figlio del generale De Gaulle, può accettare di allearsi con chi culla una simile nostalgia. E infatti salvo qualche fuggiasco hanno votato dall’altra parte rovinando la presunta festa dei lepenisti. Ma si sapeva, la fuga dei repubblicani scissionisti, espulsi settimane fa, lo indicava chiaramente. È stato dunque un “no” che ha vinto, un “no” repubblicano, democratico, l’unico no che costruisce. Ma poi? Poi siamo agli opposti estremisti, che convergono, Melenchon e Le Pen, cioè gli opposti e analoghi portabandiera del “no comunque”, e qui entra in campo il discorso del papa.
A Trieste Bergoglio ha detto che la democrazia è partecipare e non parteggiare, non fare i tifosi ma dialogare. Con chi dialogano Melenchon e Le Pen? Le Pen rifiuta il dialogo in partenza, la sua corsa solitaria, inalleabile, lo dimostra. Ma lo stesso vale per Melenchon. Dopo aver accettato la resistenza in nome del “no” a Le Pen (condiviso da tutti gli altri), lui ha attaccato Macron (e gli altri soggetti presenti nel Fronte Popolare) rivendicando per sé la guida di un governo senza maggioranza e parlando di sconfitta totale degli altri alleati, a partire ovviamente dall’odiato Macron. Dunque Melenchon accetta il dialogo solo nel momento del no a Le Pen, poi lo rifiuta. Non c’è molta differenza, al fondo, con Le Pen.
Partecipare: i francesi hanno partecipato, certamente. Ma un giorno. Poi gli opposti estremisti gli hanno chiesto di parteggiare, cioè di tornare tifosi. E qui emerge l’altro punto importante del discorso del papa. Il papa ha messo sul banco degli imputati l’assistenzialismo. Sembra strano, ma è proprio così. E ha indicato la buona politica: “Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe. E queste sono le cose che fa la partecipazione, un prendersi cura del tutto; non solo la beneficenza, prendersi cura di questo …, no: del tutto!“.
Rendere partecipi nei fatti vuol dire abbandonare la politica della pubertà e scegliere quella della maturità. È quello che con enorme fatica, e diversità politico-culturali evidenti, fanno i non estremisti, dai repubblicani giscardiani ai socialisti mitterrandiani, ai macroniani. Rendere partecipi non vuol dire cancellare la realtà, ma farci i conti. Per cambiarla, ma realisticamente. A nessuno piace proporre la pensione a 65 anni invece che a 60, questo lo dovrebbe capire anche un estremista. Ma prima c’è la realtà.
Ecco allora che la distinzione non è tanto tra destra e sinistra, ma tra pubertà e maturità. Con la politica della pubertà vince chi sta all’opposizione, chi può urlare il suo “no”. Con la politica della maturità si dice, per usare le parole di Francesco, che “una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano accompagnati nel percorso della loro vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno lentamente, anche se la loro efficienza sarà poco rilevante. Tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone… Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’ assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia, è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’ indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare”.
Dunque è capire come pagare le tasse, accettare una pensione più tardiva, rinunciare a qualcosa, e così aiutare un processo di integrazione. Condannare le tasse – come fa la destra italiana e suppongo quella francese – fa l’opposto, riduce lo Stato a un nemico e fa di me stesso il mio solo amico. Criminalizzare gli immigrati – come fa Le Pen – spezza la società, che non è un fatto tribale, di antenati, ma di vita nell’oggi di chiunque ci sia. Ma anche criminalizzare chi la pensa diversamente, come è incline a fare Melenchon, allontana da questo. L’appello del papa è ineludibile, chiarissimo; partecipare non è vincere dall’opposizione, come accade ormai in tutta Europa, e anche in Francia, ma trovando la strada per rendere il “sì” – non il “no” – il fattore che cambia gli equilibri. L’importante infatti, dice Francesco, non è occupare spazi, ma avviare processi.
Le Pen e Melenchon non avviano alcun processo. Occupano spazi di protesta o ideologica o identitaria, da torrette di vecchia destra o di vecchia sinistra. Avviare processi invece vuol dire coinvolgere giovani (disoccupati magari) e non giovani (magari in attesa di andare in pensione) in un processo che li coinvolga in un’altra visione, quella comune.
Questo ha detto Francesco prima che la Francia urlasse il suo importantissimo “no”, ma per avviare un processo, spera Francesco, cioè per credere nel tempo e non nello spazio, quindi nelle torrette ideologiche o identitarie dalle quali si respinge il nemico.
La strada che Francesco ha indicato dice molto di critico anche ai socialisti, ai repubblicani, a Macron. Non adeguarsi al paradigma tecnocratico, alla logica imperante dell’economia liberista, ma contrastare questo pensiero unico con una visione inclusiva e responsabile. Quel che con Macron fino ad oggi è mancato. L’auspicio è un diverso, molto diverso, secondo tempo. Inclusivo, non autoreferente, verticista e tecnocratico, come giustamente si imputa. E questo vale ovunque.