L’abbraccio del premier indiano al satrapo russo va letto con il pragmatismo della strategia. Per Modi, Putin è ancora un utile fornitore nel breve temine, mentre nel lungo l’India vuole evitare che la Cina conquisti la Russia. E questo è utile anche per la Nato
Lo scorso martedì, il primo ministro indiano, Narendra Modi, si è presentato davanti alla Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento, nell’ambito della sessione legislativa inaugurale dopo le elezioni del mese scorso. Ha tenuto un discorso tipicamente orgoglioso per il risultato raggiunto (il terzo, storico mandato, il “Modi 3.0”) e duro nei confronti dell’opposizione. in cui ha parlato della vittoria elettorale consecutiva del suo Bharatiya Janata Party (BJP), attaccato il principale partito sfidante, l’Indian National Congress, ha declinato il prossimo futuro del Paese. Ha detto: “Il mio coraggio è forte, la mia voce è forte e anche la mia determinazione è forte”.
In quei giorni il premier indiano doveva essere ad Astana, dove avrebbe dovuto partecipare alla riunione annuale tra leader della Shanghai Cooperation Organizzation, ma ha saltato l’invito kazako, inviando il suo ministro degli Esteri. Anche lo scorso anno, l’India — che presiedeva di turno l’organizzazione — aveva tenuto sottotono il vertice. Quest’anno, l’impegno del primo intervento pubblico lo ha vincolato a New Delhi, ma dietro alla sua assenza c’è stata anche una volontà di evitare un consesso multilaterale guidato da Cina e Russia e orientato su una declinazione ormai ampiamente anti-occidentale; contro quel sistema di governance internazionale che viene spesso definito “ordine basato sulle regole”, dove quelle regole sono dettate e ispirate dai valori occidentali che Mosca e Pechino non condividono, attirando un consenso comune di altri Paesi.
L’India non è formalmente tra questi, rivendica di essere una democrazia (la “più grande democrazia del mondo”, si dice del Subcontinente), e condivide un percorso comune con l’Occidente — principalmente con gli Stati Uniti, che con l’Unione Europea e gli altri like-minded hanno elevato la tutela di quell’ordine a vettore di politica internazionale davanti allo scontro tra modelli che Russia e Cina hanno ormai innescato. New Delhi tuttavia non promuove il modello occidentale tout court, ne è critica laddove serve ai propri interessi e si propone come un attore indipendente, polo a sé stante nel sistema multipolare delle dinamiche internazionali.
E lo dimostra con le proprie scelte e le proprie attività. Tant’è che a una settimana dopo aver evitato l’assise della Sco e aver arringato la Lok Sabha — ricordando anche come la democrazia indiana sia funzionante, e proprio la sua vittoria limitata e la crescita dell’opposizione ne sono dimostrazione — Modi era a Mosca per abbracciare Vladimir Putin. L’incontro, su cui il non-detto vale molto più delle dichiarazioni, è contestato dai critici di Modi, che ne sottolineano l’incoerenza rispetto alla posizione occidentale su Putin — posizione che tende a creargli attorno un sistema di isolamento internazionale, su cui però altri Paesi del mondo non sono concordi.
Coincidenza problematica: Modi è arrivato a Mosca mentre impazzavano sui social network le immagini dell’ultimo massacro russo contro l’Ucraina — tra queste quelle dei bambini del reparto oncologico di un ospedale colpito da un missile russo che facevano le terapie in strada. Di più: mentre Modi è in Russia, negli Stati Uniti parte il Nato Summit 2024, che celebra i 75 anni con una consapevolezza chiara che le interconnessioni tra la sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacifica sono profonde — e non c’è sicurezza nell’Indo Pacifico senza l’India, con cui infatti una Nato sempre più attenta all’Oriente dialoga.
Come spiega Vas Shenoy, esperto di strategia indiana e rappresentante della Camera di Commercio in Italia, Modi ha fatto una scelta chiara nella sua prima tappa estera, la Puglia per il vertice del G7, “posizionamento evidente, forte segnale del rapporto con il gruppo e con l’Occidente in generale: va vista in questa ottica la visita in Russia, che arriva saltando il China-led Sco, facendosi ponte con Mosca, senza rompere le relazioni, ma mostrandosi sempre più coinvolti nei processi occidentali del rule-based order”.
Per New Delhi, Mosca non va però isolata, e le ragioni di questa posizione sono due. La prima è che l’India ha forme di dipendenza dalla Russia, legate a forniture energetiche e militari, le quali non sono state interrotte dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina: anzi l’India ha approfittato pragmaticamente della scontisca che la Russia ha applicato su gas e soprattutto petrolio (mossa del Cremlino per evitare l’isolamento in cui le sanzioni l’avrebbero dovuta porre). Modi sa che serve un’alternativa, una differenziazione su cui si è già da tempo attivato, ma per ora deve governare 1,4 miliardi di indiani energivori, e non può permettersi scelte idealiste. Sul pragmatismo, stavolta per strategia estera e non a interesse interno, si apre la seconda ragione che porta il premier indiano a Mosca: la Cina.
New Delhi ha un rapporto complesso con Pechino, con una competizione per l’Indo Pacifico che sta scivolando verso uno scontro a livello globale. L’India intende evitare che l’abbraccio di Xi Jinping blocchi Putin, perché teme che l’attuale allineamento russo-cinese si trasformi in una più complicata condivisione di intenti. Un’alleanza per ora è distante, visto che non tanto gli intenti ma gli interessi separano Russia e Cina (e ciò che accade per il dominio dei porti dell’Oceano Indiano è paradigmatico). Ma Modi sa, tanto quanto la Nato riunita in questi giorni a Washington, che la cosiddetta “amicizia senza limiti” russo-cinese — che recentemente la Cina ha declassato “partnership strategica” — è l’enorme problema del mondo delle Democrazie.
Problema che nella prammatica indiana diventa diretto, perché se il confronto con Pechino dovesse diventare una guerra, New Delhi non può permettersi di avere Mosca come avversario e alleato cinese — fosse anche soltanto per ricevere i pezzi di ricambio per gli assetti militari o le forniture energetiche (con il processo di differenziazione e de-risking che richiede una transizione lunga e complessa). La visita a Mosca è dunque un metodo per creare discontinuità nella comunione russo-cinese. Modi sa che nel difendere i suoi interessi si scontra con quelli dell’Occidente, ma sa anche di avere ormai sufficiente standing per decidere autonomamente le proprie mosse. Sa che Putin venderà questa visita come testimonianza che Mosca può sopravvivere dall’isolamento occidentale — perché parla con Cina e India, i colossi del presente e del futuro soprattutto.
Ma Modi sa anche che l’abbraccio a Putin non è visto negativamente da quel Global South di cui il primo ministro indiano vuole farsi punto di riferimento (un mondo che vuole evitare le coercizioni e muoversi secondo i propri interessi, non idealizzati). Nella sostanza, la visita a Mosca è rappresentativa del modo con cui l’India di Modi guarda il mondo. Una linea pragmatica secondo le priorità più dirette, una visione strategia sul proprio posto e ruolo, una posizione critica con quelle che secondo lui sono pressioni isolazioniste occidentali che hanno rafforzato la vicinanza tra Russia e Cina. Non è affatto detto che nel profondo della strategia il cuneo indiano tra Mosca e Pechino non sia utile all’Occidente, in primis alla Nato.