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Democrazie liberali e legge elettorale. Il nodo italiano da sciogliere secondo Bonanni

Che senso ha uno scontro all’ultimo sangue sul premierato e l’autonomia differenziata se la radice di ogni guasto che immobilizza la politica riguarda il deficit gravissimo di partecipazione dei cittadini alla vita politica? L’opinione di Raffaele Bonanni

Le opposizioni si affannano a contrastare il premierato e l’autonomia differenziata, mentre la maggioranza fa da scudo a riforme con l’illusione di ottenere stabilità. Ed anzi deridono coloro che le contrastano, sottolineando come in altre epoche abbiano inseguito gli stessi propositi. 

Ormai è prassi perdersi nella politica muro contro muro che esalta la volontà suicida dei partiti di non governare il Paese, ma di inseguire le chimere delle loro effimere glorie anziché governare le urgenze. Ma c’è qualcosa che accomuna centrodestra e centrosinistra: il nodo scabroso della legge elettorale gestita direttamente dai segretari dei rispettivi partiti. Questi impongono i loro favoriti in Parlamento, sottraendo questo potere ai cittadini elettori, attraverso leggi elettorali confezionate su misura addirittura sotto appena prima del voto.

Queste leggi, recentemente, sono andate sotto giudizio della Corte europea per i diritti dell’uomo, promosse da Mario Staderini, senza che nessun Partito abbia fatto un solo commento. È chiaro come il sole la distorsione presente nella democrazia italiana. Le attuali leggi elettorali hanno allontanato i cittadini dalle urne e dalle istituzioni, hanno compromesso il funzionamento dei partiti, ormai personali o con organismi autoreferenziali, in molti casi debordanti dal dettato costituzionale. Ma oltre a ciò, va sottolineata la consuetudine di candidare il leader di partito più forte della coalizione, sovvertendo le procedure proprie della nostra democrazia parlamentare. Inoltre, essendo come capo partito in grado di decidere l’elezione dei parlamentari, in un solo attimo mette sotto scacco i tre poteri dello Stato, sacralmente indicati dalla Costituzione come distinti ed indipendenti. Insomma, nei fatti sovverte e si impossessa del potere esecutivo, legislativo e di quello giudiziario, in quest’ultimo caso almeno per le nomine del Parlamento che attengono le funzioni degli organi di controllo.

Allora, che senso ha uno scontro all’ultimo sangue sul premierato e l’autonomia differenziata se la radice di ogni guasto che immobilizza la politica riguarda il deficit gravissimo di partecipazione dei cittadini alla vita politica? Gli elettori sono stufi di trovarsi parlamentari di altre regioni, parenti di chi comanda i partiti, lontani dalle loro culture, ignari dei loro problemi. Alcuni cittadini di diversa provenienza culturale per segnare la loro profonda contrarietà hanno promosso il referendum per l’abolizione della attuale legge elettorale con il motto “io voglio scegliere”. I partiti tutti lo stanno ignorando, tutti uniti a conservare il potere sequestrato ai danni del cittadino. Ma che senso ha da parte del governo invocare cambiamenti per avere più potere per governare, quando si comprime il rapporto ordinato e partecipato alla vita politica. E che senso possono avere gli allarmi dell’opposizione contro il governo,  quando anch’essi partecipano alla negazione del voto da restituire agli elettori nella scelta del loro parlamentare, legittimando essa stessa la verticalizzazione dei poteri che i loro avversari con sempre maggiore insistenza avanzano? Nelle elezioni francesi il monito vero è quello del ritorno alle urne di molti elettori.

In Francia però le leggi elettorali non cambiano, i capi partito non nominano i loro favoriti, il cittadino nomina lui stesso il proprio parlamentare con il sistema proporzionale, perché lo conosce e lo stima, perché ha le stesse sue opinioni. Questi sono i fattori basici delle democrazie liberali che portano al voto i cittadini, e certamente non il teatrino sempre più irritante e squalificante. 



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