New Delhi ha scelto come nuovo ambasciatore a Washington un diplomatico di carriera, ex foreign secretary. Il Modi 3.0 ha un obiettivo chiaro: tutelare le relazioni India-Usa qualsiasi sia l’inquilino della Casa Bianca dopo USA2024
L’India ha recentemente nominato il top diplomatico Vinay Kwatra come ambasciatore negli Stati Uniti, spostandolo dal ruolo di foreign secretary (sostanzialmente direttore generale del ministero degli Esteri) e chiedendogli un allungamento di carriera a Washington prima di andare in pensione. Una mossa che serve anche a mostrare l’importanza per New Delhi di mantenere solidi rapporti bilaterali in vista dei futuri cambiamenti politici a DC. La nomina arriva infatti in un momento cruciale, con le elezioni presidenziali statunitensi alle porte e quelle indiane appena celebrate con la vittoria per il terzo, storico mandato di Narendra Modi. Il primo ministro indiano è tra le altre cose l’uomo politico che ha rinvigorito, implementato e strutturato le relazioni Usa-India per come le osserviamo attualmente — con il subcontinente diventato partner fondamentale della prima potenza globale.
La decisione riguardo Kwatra suggerisce un approccio preemptive per garantire la continuità e la stabilità nelle relazioni diplomatiche, che andrà anche oltre l’attività della feluca e sarà chiaramente gestita direttamente dal premier e da figure come il ministro degli Esteri S. Jaishankar, raffinato diplomatico il cui figlio dirige l’ufficio di Washington del più importante think tank indiano. Ma intanto, stando sulla scelta: nella sua carriera diplomatica, Kwatra ha servito come responsabile del Commercio nell’ambasciata indiana nella capitale statunitense dal maggio 2010 al luglio 2013, e ha anche guidato la Divisione delle Americhe nel ministero degli Affari Esteri indiano, gestendo le relazioni con gli Stati Uniti e il Canada. Conoscere il Paese, soprattutto conoscerne le dinamiche delle relazioni commerciali, è un grande plus politico-pratico per l’ambasciatore e per New Delhi. Anche per prepararsi a un possibile futuro in cui alla Casa Bianca si dovesse dare più importanza al pragmatismo degli scambi piuttosto che all’idealismo delle visioni politiche.
La scelta di Kwatra si inserisce però in una strategia più ampia dell’India per salvaguardare le proprie relazioni internazionali, e mantenere all’apice i rapporti con gli Usa — il principale dei partner globali — è il primo grande obiettivo della politica estera del “Modi 3.0”. New Delhi sa che davanti alla sempre più aggressiva espansione cinese non può perdere l’allineamento con gli Stati Uniti. Processo che ha valore altamente strategico e dunque travalica il tipo di inquilino della Casa Bianca, che sia Donald Trump o Joe Biden dunque. Ma chiaramente formule, azioni e reazioni dei due (molto diverse, sembra quasi inutile dirlo) possono cambiare la chimica del legame.
Durante la presidenza Trump, la relazione tra India e Stati Uniti aveva già visto significativi sviluppi, specialmente nella cooperazione difensiva e commerciale. L’amministrazione repubblicana aveva adottato una posizione dura nei confronti della Cina, che probabilmente si replicherà in caso di vittoria, allineandosi in questo con le preoccupazioni strategiche indiane e promuovendo un avvicinamento tra i due Paesi.
Con Joe Biden, i legami si sono ulteriormente approfonditi, soprattutto nei settori del cambiamento climatico, della tecnologia e della salute. L’enfasi di Biden sul multilateralismo e sulle alleanze legate al sistema delle democrazie è vista come vantaggiosa per l’India, in particolare attraverso piattaforme come il Quad (Quadrilateral Security Dialogue), che include Stati Uniti, India, Giappone e Australia, con l’obiettivo di contrastare l’influenza cinese nella regione indo-pacifica — anche se è grazie a Mike Pompeo, segretario di Stato trumpiano se il Quad è stato messo sotto un processo di implementazione spinta, poi seguito anche dal team Biden. L’amministrazione Biden ha anche però dovuto gestire le critiche di chi, tra elettori e fazioni leftist dei Democratici, considerava l’avvicinamento con Modi non politicamente corretto, perché il premier era visto come un fattore di contrazione della democrazia indiana. Su questo, Trump potrebbe avere una constituency — interna e internazionale — ben più pragmatica.
Analizzando la situazione, il nucleo diplomatico indiano rimane flessibile dunque ai cambiamenti nella leadership statunitense, privilegiando gli interessi strategici a lungo termine rispetto agli allineamenti politici a breve termine. Questo approccio pragmatico assicura che le aree chiave di cooperazione – difesa, tecnologia e lotta al terrorismo – rimangano solide, indipendentemente da chi occupa la Casa Bianca.
Su questo va anche valutato che i votanti indo-americani tendono a preferire il Partito Democratico, con una maggioranza che supporta Biden rispetto a Trump. Aspetto che Modi non può non tenere in considerazione – anche perché gli indiani negli Stati Uniti sono il gruppo etnico che raggiunge maggiori successi nella classifica dei guadagni, e per altro diversi manager di origine indiana occupano ruoli apicali nelle grandi aziende statunitensi. Tuttavia, va anche detto che l’influenza di questo gruppo demografico è attualmente sfumata, vittima anch’essa delle dinamiche polarizzanti della politica statunitense, e varia in base a fattori regionali e locali nei singoli Stati. E soprattutto, come tutto il resto in questo momento, può essere oggetto delle dinamiche della campagna elettorale, che con l’attentato a Trump e il dibattito sulla sostituzione di Biden (che ogni giorno pare imminente) stanno già subendo processi non comuni.