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Il populismo di Trump, risposta alla crisi o una minaccia? L’opinione di Cristiano

Mentre la convention repubblicana a Milwaukee sembra un grande spettacolo, l’America deve fare i conti con le sue paure e speranze in continua evoluzione. Il commento di Riccardo Cristiano

Come il circo è sopravvissuto a Lidia Togni, così il trumpismo sopravviverà a Donald Trump. Ma lo spettacolo al quale abbiamo assistito in questi giorni, con la convention repubblicana a Milwaukee, non può ridurre l’America a un grande circo, con l’eroe del wrestling che fa prorompere incontrollabile la forza primitiva del capo e dei suoi. L’America non è questo, ma come ognuno di noi cambia, anche l’America può cambiare e ridursi a questa dolorosa rappresentazione di sé.

Tutto sommato, a mio avviso, la corsa dei grandi donatori sul carro di “The Donald” dimostra che il vero conflitto è un altro: le grandi corporation hanno ormai bilanci che se ne infischiano dei bilanci statali. La grande sfida sta evolvendo sempre più chiaramente a loro favore e a sfavore degli Stati. Che spazio hanno gli Stati, la mano pubblica, nel controllo o nel governo dell’Intelligenza Artificiale? Nessuno. Certo, mai si può invocare la follia di spegnere la luce e tornare indietro, che è impossibile. Ma preoccuparsi di dove va la navicella del mondo e delle sue scoperte è un problemino che riguarda tutte le democrazie, e in particolare quella americana, che rimane una grande democrazia dalla quale tutti noi ancora dipendiamo in termini di speranza e di auspici di libertà.

Ridurre però l’America, gli Stati Uniti, a un circo Togni, Darix o Lidia cambia poco, è facile, è un po’ il compito delle convention da sempre, una rappresentazione che Rino Formica avrebbe definito di “nani e ballerine” con l’aggiunta di ricchi cotillon. Stimolare i bassi istinti è logico e anche un po’ dovuto, ma se un grande paese si incanta davanti all’idea a dir poco inquietante della grande deportazione promessa da Trump vuol dire che sente di avere i piedi d’argilla, che ha paura, trema e questa non è un bene, è un male.

Trump è dunque la spia, in rosso fisso, delle paure americane, della crisi. E con le crisi non si scherza. Non si può prendere sottogamba, con fare snobistico, una paura così profonda. I ceti poveri, i più esposti, cercano un rifugio che i signori della left americana non offrono più. Chi ha una risposta? La paura dilagherà? Può essere.

Ma fasciarsi prima di essersela rotta è sempre un errore. Io partirei dalla disamina perfetta dei gesuiti americani di America, che hanno scritto: “Il servizio al bene comune richiede molto più della retorica su di esso. Per abbracciare il bene comune in modo più completo, vale la pena osservare come spesso viene distorto. “La mancanza di preoccupazione per i vulnerabili”, dice papa Francesco, “può nascondersi dietro un populismo che li sfrutta demagogicamente per i propri scopi, o un liberalismo che serve gli interessi economici dei potenti”. Entrambe le tendenze si ritrovano nella politica americana, spesso rafforzandosi a vicenda. Gran parte del Paese ha sofferto economicamente e culturalmente a causa di accordi che servono gli interessi delle persone già potenti e sicure, che troppo facilmente ignorano le preoccupazioni di coloro che sono in difficoltà o addirittura li deridono come pregiudicati e “deplorevoli”.

Questo ha fornito terreno fertile per attacchi demagogici sia verso gli immigrati visti come minaccia alla sicurezza e alla prosperità americana, sia nei confronti dei media e dell’élite politica indicati come “nemici del popolo”. Prima delle elezioni del 2020, i redattori di America avevano messo in guardia sul pericolo che Trump rappresentava per l’ordine costituzionale, soprattutto a causa del suo rifiuto di riconoscere le legittime limitazioni al proprio potere. Dopo la rivolta del 6 gennaio 2021 al Campidoglio, abbiamo chiesto il suo impeachment, la sua condanna e l’interdizione da futuri incarichi federali. Purtroppo, la sua condotta negli ultimi tre anni e mezzo, e fino ad ora nella campagna elettorale attuale, non ci ha dato motivo di rivedere queste preoccupazioni. Se il suo tentato assassinio può servire – e noi preghiamo che possa servire – come catalizzatore per gli Stati Uniti per cercare una politica più unificante, allora egli dovrà dimostrare di essere disposto a essere uno degli attori principali di tale cambiamento”.

La democrazia non è un lusso, è un bene primario, difficile però da vendere a chi ha paura. Chi ha paura vuole l’uomo forte, perché lo rassicura. Ma se ha paura l’America, un grande Paese, il dottore non può presentarsi con la spocchia di chi dice “va tutto bene”. Non va tutto bene, la paura è la peggiore consigliera di chiunque e per questo occorre affrontare con rigore anche la questione migratoria. Evidentemente c’è, e pesa per chi ha difficoltà. Nessuno potrà risolverla con la deportazione di milioni di reietti, con muri di cinta alti mille metri. Questo non lo farà Trump né il suo vice dal volto feroce, come tutte le periferie abbandonate. Non lo faranno ma lo dicono. E sui cattivi odori del presente va costruita un’alternativa all’odio, con attenzione ma anche con onestà.

Credo che il rischio sia evidente, è quello di cui ha scritto il teologo Marcello Neri: “La secessione americana del XXI secolo non solo è iniziata, ma ha probabilmente già raggiunto un punto di non ritorno. Con una grande differenza, che rende impropri i tanti parallelismi proposti da molti organi di informazione, rispetto alla Guerra Civile del XIX secolo: lì era questione di stati, ossia di un conflitto che rimaneva in un qualche modo interno al quadro istituzionale, oggi non è così. Oggi sono saltati tutti i confini istituzionali, e quindi gli strumenti di contenimento, perché la secessione taglia in due case, quartieri, città, scuole, università… il nemico è lì, a due passi da te, anonimo – gode dei tuoi stessi diritti, e questo è del tutto insopportabile”.

Dalla cruciale Pennsylvania, l’attento professor Massimo Faggioli non dà fiati a insulsi pessimismi, ma avverte che il rischio c’è, ma ricorda che il National Catholic Reporter ha scritto: “Lui parla agli angeli inferiori della nostra natura per essere sicuri, ma noi siamo responsabili di assecondare quegli angelici inferiori”. Distinguere la realtà dalle sciocchezze è possibile, ma è faticoso. Io penso che i democratici debbano lasciar perdere le loro futili dispute interne, con una sinistra che si dimostra così avulsa dalla realtà da seguitare a sostenere Biden per questioni di pesi e contrappesi interni al partito. È l’ora della responsabilità. Se ce n’è. Queste voci ci dicono che la luce americana non si è spenta, e non detto che accada. Non ci sono incubi peggiori di quelli che produciamo noi stessi. E l’America ha ancora le sue riserve d’acqua fresca.

 

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