L’attacco di Tel Aviv ha superato le linee rosse. Israele attacca il porto di Hodeida, che gli Houthi usano per ricevere le armi con cui hanno destabilizzato l‘Indo Mediterraneo
Poche ore fa, i jet da combattimento delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno attaccato obiettivi militari — depositi di carburante e magazzini — della milizia Houthi nell’area del porto di Hodeida, in Yemen. Questa azione, denominata “Operation Long Arm”, è stata una risposta ai numerosi attacchi contro lo Stato di Israele compiuti dagli yemeniti negli ultimi mesi, culminati con la morte di un cittadino bielorusso due giorni fa, dissanguato dai vetri delle finestre del suo appartamento, colpito da un drone esplosivo il cui lancio è stato rivendicato dagli Houthi.
In una dichiarazione preliminare fornita anche a Formiche.net, Israele spiega: “Poco fa, i jet da combattimento dell’IDF hanno colpito obiettivi militari del regime terroristico Houthi nell’area del porto di Al Hudaydah, in Yemen, in risposta alle centinaia di attacchi compiuti contro lo Stato di Israele negli ultimi mesi.
Non ci sono cambiamenti nelle linee guida difensive del Comando del Fronte Interno. In caso di modifica delle linee guida, aggiorneremo il pubblico di conseguenza”.
Seguiranno dettagli, per ora però Tsahal si è premurato di sottolineare che non ci sono cambiamenti nelle direttive, ossia, non si sta espandendo l’azione militare allo Yemen. Ma il raid, per quanto puntuale per ora, apre a ulteriori sviluppo potenziali. Anche perché lo stesso attacco a Tel Aviv è sotto indagine, da verificare infatti se il drone sia partito direttamente dallo Yemen o sia stato frutto di una cooperazione con le milizie sciite irachene.
Gli Houthi sono infatti parte del cosiddetto Asse della Resistenza, l’insieme di corpi paramilitari connessi alla politica estera aggressiva dei Pasdaran. Gli yemeniti hanno avviato una campagna di destabilizzazione in risposta alla guerra israeliana contro Hamas — responsabile di aver avviato la stagione di conflitto con l’attacco del 7 ottobre. Gli Houthi sono protagonisti del caos nell’Indo Mediterraneo che sta marginalizzando il Mare Nostrum.
L’escalation mette in luce le tensioni regionali più ampie che coinvolgono le forze proxy iraniane e i loro avversari. Secondo fonti militari regionali, con quest’azione Israele ha voluto dimostrare di poter operare direttamente per ridurre significativamente la capacità offensiva degli Houthi.
I funzionari del governo Netanyahu stanno facendo sapere che l’attacco in Yemen è stato un’azione puramente israeliana: è questo lo spin comunicativo. Dal mondo arabo, sono subito circolate voci di Paesi alleati israeliani, anche europei, che avrebbero fornito all’IDF rifornimento aereo e intelligence. Tra questi c’era l’Italia, che smentisce partecipazioni come “informazioni false”. Mentre non è da escludere che qualche genere di collaborazione informale possa esserci stata, va anche evidenziato che visto il contesto (legato al caos e alla crisi militare a Gaza) possa diffondersi svariata disinformazione.
Il porto di Hodeida, sul Mar Rosso, è considerato un’infrastruttura centrale per la milizia terroristica e dunque un obiettivo militare legittimo, utilizzato dagli Houthi per la gestione degli scarichi di armi. E questo nonostante lo scalo sia usato per veicolare gli aiuti umanitari, necessari perché la situazione umanitaria nel Paese è devastante. Gli Houthi, che hanno aperto la guerra civile in Yemen nel 2015 con l’obiettivo di conquistare l’indipendenza nordista, sottraggono tra l’altro la maggior parte di questi aiuti.
Per Israele, l’attacco a Tel Aviv ha superato tutte le linee rosse, provocando la risposta dopo nove mesi di quello che viene descritto come “autocontrollo”, pensato finora anche per evitare espansioni regionali degli scontri. Cosa che adesso tuttavia è possibile, dimostrando come la situazione prodotta dagli Houthi non sia più sostenibile da tempo.