Perché è sbagliato mantenere lo status quo? In primis perché la situazione in Siria e nei Paesi vicini è in costante peggioramento e se non si riuscirà a ricondurre la Siria nell’agenda Ue come una priorità assoluta “le conseguenze per la popolazione civile siriana, per i Paesi vicini nella regione, per i partner mediterranei e, infine, per l’Europa, saranno disastrose”
L’Europa cambi strategia sulla Siria: questo l’appello lanciato dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e il suo omologo dell’Austria, Alexander Schallenberg, all’interno di una ampia riflessione promossa anche da Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Grecia, Slovacchia e Slovenia. Ovvero linee guida e spunti rivolte all’Ue per modificare la politica sul paese martoriato da gierra civile e strategie geopolitiche dei big players.
Errore strategico
Un errore “strategico”, scrivono Tajani e Schallenberg, aver relegato il dossier siriano ai margini dell’attenzione di media e di Bruxelles, in un momento caratterizzato dalla tragica contingenza bellica tanto a Kiev quanto a Gaza. Ma, proprio per questa ragione, si rende imprescindibile che l’Alto Rappresentante riconsideri la strategia europea, al fine di costruire “una politica sulla Siria più realistica, proattiva ed efficace per aumentare la nostra influenza politica, l’efficacia della nostra assistenza umanitaria e per creare le condizioni per il ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati siriani”.
Perché è sbagliato mantenere lo status quo? In primis perché la situazione in Siria e nei Paesi vicini è in costante peggioramento e se non si riuscirà a ricondurre la Siria nell’agenda Ue come una priorità assoluta “le conseguenze per la popolazione civile in Siria, per i paesi vicini nella regione, per i partner mediterranei e, infine, per l’Europa, saranno disastrose”, dicono i due ministri degli Esteri.
I numeri
Fino ad oggi gli aiuti umanitari hanno visto spiccare, tra tutti i donatori, proprio l’Ue con 33 miliardi di euro, dato che ne fa il maggiore contributore internazionale. Ciononostante il popolo siriano si trova ancora in una gravissima condizione di miseria, con il record dei 16 milioni di persone che necessitano di assistenza primaria.
Povertà si lega a migrazione: la Siria è protagonista del maggiore flusso di profughi del mondo, con 13,8 milioni di sfollati interni e rifugiati, che danno “lavoro” al business dei trafficanti. Il tutto mentre “Assad resta saldamente in sella” e il regime, con il sostegno di Russia e Iran, è riuscito a consolidare il proprio potere, riprendendo il controllo di oltre il 70% del Paese. Quale il passo in avanti fatto registrare oggi? Che i partner arabi nella regione hanno riconosciuto questa realtà, e hanno riammesso la Siria nella Lega degli Stati arabi, continuano i due ministri.
Le richieste
Innanzitutto chiedono ad Assad “di mostrare la necessaria flessibilità in un processo di riconciliazione, necessario per riportare la Siria sulla carreggiata”. In secondo luogo invitano i decisori ad immaginare strade alternative per risolvere politicamente la crisi nel Paese, con l’anticamera programmatica rappresentata da quesiti sistemici che riguardano una serie di aspetti considerati prioritari: le garanzie per i cittadini siriani di avere prospettive economiche, tali da evitare il viaggio verso l’Europa; la creazione di condizioni affinché le persone possano rientrare in Siria; la certezza che le sanzioni incidano sul sistema e non sulla popolazione civile. Per cui l’obiettivo nel brevissimo periodo è quello di aprire una discussione a più cervelli per individuare un approccio nuovo.
Tra gli strumenti individuati per contrastare efficacemente l’eccessiva conformità spiccano quelli di soft power, come la diplomazia culturale.