La candidata democratica ha tanti punti di forza, a partire dai diritti civili (in particolare l’aborto) e alcune debolezze legate alle politiche migratorie. Le incognite sono più che altro legate all’agenda economica. Per questo sarà importante designare un candidato vicepresidente forte e credibile, che lavori negli swing states. E in politica estera prevarrà la continuità con Biden. Colloquio con la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, Nathalie Tocci
Ci sono diverse incognite. Alcuni punti a favore e altri a sfavore. L’importante è evitare di cedere alla narrazione dei quotidiani italiani che danno già sostanzialmente Donald Trump come futuro presidente degli Usa. Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, part-time professor alla School of Transnational Governance dell’European University Institute, professoressa onoraria all’Università di Tübingen parte da questa prospettiva, con Formiche.net, per analizzare la campagna elettorale di Usa 2024 dopo il passo indietro di Joe Biden e la discesa in campo di Kamala Harris.
Tocci, partiamo dalle incognite legate alla candidatura della vicepresidente Harris. Quali sono a suo giudizio?
Empiricamente noi abbiamo una candidatura che sta facendo campagna elettorale da un giorno e mezzo. Per cui non sappiamo se in effetti sarà una competitor efficace. Va detto comunque che, valutando la sua prima candidatura e il suo ritiro pressoché immediato alla scorsa tornata elettorale – che la portò a svolgere il ruolo di vicepresidente – apparve come una candidata forte. Poi, quella del 2024, è ancora tutta da giocare a questo punto.
Quali, secondo lei, i punti di debolezza di questa candidatura?
L’immigrazione sarà senz’altro un punto dolente. Per due ordini di ragioni. Il primo è legato alla tipologia di campagna elettorale che farà Trump e, secondariamente, perché fu una delega che è appartenuta a lei in qualità di vicepresidente. E i risultati sono stati non propriamente efficaci.
Sotto il profilo economico cosa ci potrà riservare un eventuale presidenza democratica?
Anche questo è un grosso punto interrogativo e, anche per questo, sarà importante la decisione di candidare un vicepresidente efficace sotto il profilo economico. Anche in continuità con l’agenda Biden che è stata molto efficace sul versante della politica industriale ad esempio.
Anche sui swing states la designazione di un candidato vicepresidente sarà cruciale.
Assolutamente sì. Il “ticket” sarà molto importante anche per raccogliere consensi negli Swing states. E, senz’altro, giocarsi i temi dell’agenda economica potrà essere una carta vincente.
Su cosa, invece, Harris può avere buon gioco?
Sul tema dei diritti umani e in particolare sull’aborto. In questo sarebbe una netta contrapposizione rispetto alla politica di Trump che invece ha scelto Vance: un antiabortista convinto. Per cui, su questo, Harris ha diverse potenziali chance.
Il fallito attentato a Trump è un fattore significativo per l’acquisizione di ulteriore consenso, non crede?
È difficile immaginare che a Trump possa succedere qualcosa di altrettanto eclatante come è stato l’attentato. Per cui ora i riflettori sono puntati sul campo democratico e su di lei che, anche rispetto a Biden, ha tante energie da spendere per questa campagna elettorale.
In politica estera come potrebbe essere un’ipotetica presidenza democratica?
Harris è venuta due volte alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza. Per cui mi verrebbe da dire che sarà una politica estera in continuità con l’attuale presidenza. In particolare sul versante dei rapporti con l’Europa e l’Italia. Forse avrà sfumature più nette sul Medio Oriente.
In che senso?
Sarà più determinata nel chiedere il cessate il fuoco. Benché convinta sostenitrice delle ragioni di esistenza di Israele, sarà meno sensibile alle istanze di Netanyahu. Sul conflitto in Ucraina – che ha molto a che fare con i rapporti tra Usa e Ue – si muoverà in continuità rispetto alla linea tracciata da Biden.
E con l’Italia?
Personalmente vedo molti più problemi legati all’ipotesi di una presidenza Trump. Per due motivi. Il primo è legato alla questione Difesa: l’Italia non investe il 2% del Pil nella Difesa e questo può rappresentare un ostacolo serio nel rapporto con gli Usa a guida Trump. Secondariamente, la sua presidenza sarà caratterizzata probabilmente da una guerra commerciale con l’Ue. E l’Italia, in questa logica, risulterebbe particolarmente esposta.