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Le ragioni di Meloni sulla Rai (ma non sulla postura in Ue). Parla Petruccioli

La lettera che Meloni ha mandato a von der Leyen in risposta alla relazione Ue sullo stato dei media in Italia contiene alcuni elementi di verità in particolare sui rilievi alla normativa che regola la governance della Rai. Il prossimo anno entrerà in vigore un regolamento europeo che mette fuori legge la normativa secondo la quale l’amministratore delegato non sarà più espresso dal governo. Ma in Europa l’Italia deve avere un’altra postura. Colloquio con l’ex presidente Rai, Claudio Petruccioli

Giorgia Meloni nella sua lettera a Ursula von der Leyen ha spiegato a chiare lettere che non c’è nessuna interferenza sulla governance della Rai. Eppure il report europeo sulla libertà dei media in Italia continua a far parlare, gettando ulteriore benzina sul fuoco nella contrapposizione tra maggioranza e opposizione. In realtà nei punti contenuti all’interno della missiva che la presidente del Consiglio “ci sono delle cose sulle quali Meloni ha ragione: la legge è stata voluta dal Pd, durante il governo Renzi”. Semmai il problema è legato ai “rapporti che devono intercorrere tra l’Italia e l’Unione”. A parlare a Formiche.net è Claudio Petruccioli, già presidente Rai ed ex parlamentare.

Partiamo dal report dell’Ue e dalla risposta di Meloni. Quali sono secondo lei le “ragioni” di Meloni?

È verissimo che la legge sull’attuale governance venne varata dal governo Renzi nel 2015. Ed è un dispositivo estremamente criticabile dal mio punto di vista. E, tra l’altro, Meloni ha ragione quando dice che non ha ancora rinnovato il Consiglio di amministrazione benché abbia cambiato l’amministratore delegato.

Perché secondo lei il dispositivo legislativo attualmente vigente ha delle lacune?

Più che di lacune a mio modo di vedere rappresenta un passo indietro rispetto alla precedente legge Gasparri. Soprattutto perché toglie moltissimo peso decisionale al consiglio d’amministrazione, riconducendolo all’amministratore delegato. È in qualche modo saltato il sistema sul quale prima si reggeva il funzionamento della Rai. Ma c’è un altro punto, di cui pochi parlano, che tuttavia è fondamentale.

A cosa si riferisce?

L’11 aprile è stato approvato, in sede europea, un regolamento che produrrà i suoi effetti a partire dall’agosto 2025, che ha un’importanza assoluta sulla regolamentazione dei media in tutti i Paesi membri dell’Unione. Si tratta di un documento importantissimo, sia sotto il profilo analitico – anche perché tiene conto delle innovazioni e dello stato dei media in Europa, ed è estremamente aggiornato – ma soprattutto è importante per via del principio che sancisce.

Ossia?

Ancora l’attività dei media all’elemento fondativo dell’Unione: ossia il libero mercato e la libera concorrenza. E, dunque, alla libertà. Di più, nella sezione dedicata al servizio pubblico viene esplicitato che l’amministratore delegato delle aziende pubbliche non saranno più di nomina dell’esecutivo. In forza di questo, l’attuale normativa italiana sarà superata.

Prima accennava ai rapporti che il nostro Paese deve avere con l’Europa. Qual è il suo punto di vista?

L’Italia deve avere il rapporto che si addice a uno dei Paesi fondatori dell’Unione. Ma soprattutto occorre stabilire che il posto del nostro Paese è all’Interno dell’Unione. Poi, si possono anche avere posizioni critiche e fare proposte di modifica su alcuni punti, ma dall’interno.

Lei si è espresso in maniera critica rispetto alla decisione di Meloni di non sostenere von der Leyen. Secondo lei che cosa si rischia?

Penso che non sia un felice precedente per un Paese che ha la storia del nostro una scelta di questo tipo. Meloni, in seno al Consiglio europeo per il voto alla presidenza della Commissione, avrebbe dovuto agire come presidente del Consiglio, responsabilmente. E invece l’astensione è valsa come un triste precedente. È la prima volta nella storia.



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