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India e Cina si parlano. Ecco perché

Jaishankar incontra Wang. India e Cina si parlano, ma non rimodellano per ora il rapporto. Il dialogo pragmatico serve per evitare escalation al confine, mentre le aree di competizione restano

Pechino e New Delhi cercano un approccio pragmatico alle divisioni e si parlano. Contatti diplomatici con l’obiettivo di gestire le tensioni, comprendere eventuali punti di equilibrio ed evitare escalation. Ma per ora non si tratta di un rimodellamento dei rapporti, piuttosto tesi per questioni di un’annosa contesa territoriale al confine e poi in generale perché entrambe le potenze competono non solo per la primazia nell’Indo Pacifico, ma anche per diventare riferimento (e modello) per una parte di mondo che vuole cercare sponde anche oltre il blocco occidentale (quello che noi in Occidente chiamiamo “Global South”).

Il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, Wang Yi, hanno parlato a latere del vertice annuale dell’Asean — organizzato in Laos e occasione per vari incontri del genere, come e per esempio il meeting Blinken-Wang. Dall’incontro quel che emerge è la volontà di lavorare “con urgenza” per il ritiro di decine di migliaia di truppe di stanza lungo il loro confine conteso, prima che la situazione di stallo di lunga durata rischi di degenerare. Ed è già accaduto che quei militari nell’area himalayana finissero per scontrarsi (per altro all’arma bianca, perché tra Pechino e New Delhi ci sono già accordi di controllo, tra cui non dispiegare armi ed evitare teoricamente scontri, ma i militari si sono organizzati con bastoni e pietre).

Quella che esce dal faccia a faccia non è una novità assoluta, dunque. Da anni, funzionari militari indiani e cinesi si incontrano per gestire le tensioni lungo la “Linea di controllo effettivo”, come viene definito il lunghissimo tratto di separazione himalayano condiviso dai due giganti asiatici. La linea divide i territori cinesi e indiani, dal Ladakh a ovest allo stato orientale indiano dell’Arunachal Pradesh, che la Cina rivendica nella sua interezza (“assurdo” per New Delhi). In un passaggio ad alta tensione, pochi mesi fa, l’India ha rinominato alcune villaggi del Tibet come tit-for-tat contro Pechino, che sta usando la nomenclatura cinese per indicare aree abbondantemente all’interno del confine indiano.

Le relazioni tra i due Paesi si sono deteriorate negli ultimi quattro anni, con un episodio nel luglio 2020 che ha visto uno scontro tra militari in cui sono morti almeno 20 soldati indiani e quattro cinesi (uccisi a mani nude, a sassate, con bastoni dalle estremità appuntite). Da lì in poi, ci sono stati altri scontri più piccoli e in generale dispetti e provocazioni, soprattutto da parte della Cina, che allarga all’aspra zona montuosa — dove ogni parte ha di stanza decine di migliaia di personale militare sostenuto da artiglieria, carri armati e jet da combattimento — pretese del tutto simili a quelle che ha nell’Oceano Indiano e comportamenti analoghi a quello nel Mar Cinese.

Narrazioni e interessi

Già in precedenza sia l’India che la Cina hanno ritirato truppe da alcune zone sulle aree settentrionali e meridionali di Pangong Tso, Gogra e Galwan Valley, ma continuano a mantenere truppe extra come parte di un dispiegamento multilivello. Jaishankar nelle sue osservazioni di apertura ha detto che le questioni di confine hanno “gettato un’ombra” sui legami India-Cina negli ultimi quattro anni, nonostante i notevoli sforzi di entrambe le parti per risolverli: “Lo stato del confine si rifletterà necessariamente sullo stato dei nostri legami”.Wang ha sottolineato che migliorare i legami Cina-India è vantaggioso per entrambi e per altre nazioni — le due parti hanno concordato di “lavorare insieme” per “mantenere la pace nelle zone di confine e spingere per il progresso”, dicono i media statali cinesi usando espressioni tipiche della narrazione di Pechino.

Val la pena ricordare che l’India e la Cina hanno combattuto una guerra per il confine nel 1962. La Linea di controllo effettivo divide le aree di controllo fisico piuttosto che le rivendicazioni territoriali. Evitare una guerra è una priorità, ma il dialogo tra i due ministri non apre a scenari di distensione ulteriore (a meno che esse non siano affrontate con la solennità di un incontro tra leader). Per altro, avviene esattamente negli stessi giorni in cui Jaishankar ha partecipato al vertice ministeriale del Quad, la struttura di cooperazione per la sicurezza tra India, Usa, Giappone e Australia che la Cina contesta perché la individua (a ragione) come una forma di contenimento contro di sé.

La propaganda cinese sta raccontando in modo molto positivo il viaggio di Narendra Modi in Russia, sottolineando che è la dimostrazione di come l’India sia una potenza globale, polo del sistema multipolare e non ha necessità di allinearsi all’Occidente per esprimere il proprio valore. È ciò che New Delhi intende essere, ma con la consapevolezza che per proiettare queste priorità dovrà fare i conti con la competizione cinese. Perché questo tentativo di corteggiamento romantico (finalizzato a complicare la relazione indiana con il sistema occidentale) difficilmente persuaderà New Delhi. Anche perché Modi con ogni probabilità sarà a Kyiv a fine agosto — e questo potrebbe non essere particolarmente apprezzato da Mosca e nemmeno da Pechino, che a quel punto si sentirebbe superata nel ruolo di riferimento terzo (sebbene non terso) sul dossier.



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