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L’Italia alla corte di Xi, si poteva fare meglio. Il commento di Cangini

Stringere accordi commerciali in ordine sparso su materie delicate e strategiche come le auto elettriche, l’Intelligenza Artificiale, i semiconduttori e più in generale il settore high-tech non sembra il modo migliore per affrancare l’Europa e gli Stati che ne fanno parte dall’ombra incombente del dragone imperialista

Ai tempi del governo Renzi, Giorgia Meloni vergò un tweet ferocemente contrario agli accordi commerciali che l’allora premier si accingeva a sottoscrivere a Pechino. “Visto che #Renzi è amico della #Cina chieda conto della concorrenza sleale che le imprese #cinesi fanno al nostro #madeinItaly”, scrisse. Era il 14 ottobre del 2014. Oggi, il fondatore di Italia Viva si è tolto lo sfizio di ripubblicare il tweet meloniano, così chiosandolo: “Mi pare che in questi giorni Giorgia Meloni abbia cambiato posizione. L’aspettiamo in Parlamento per riferire”. Pur rimarcando il diverso atteggiamento di quand’era l’opposizione, si direbbe che Renzi in fondo apprezzi la conversione di Giorgia Meloni alla realpolitik commerciale.

Di ben altro avviso appare Alberto Forchielli, economista che a lungo ha lavorato con fondi di investimento cinesi. “La Meloni è andata a Pechino per firmare accordi inconcludenti di basso livello, nessun investimento, nessun flusso finanziario. Scholz e Macron non hanno fatto meglio. Ma che cos’hanno questi nostri leader che vanno in Cina, da un Paese nemico, principale sostenitore della Russia, col cappello in mano? Non farebbero meglio a mettersi d’accordo per tenere una posizione dura, assertiva, che indichi alla Cina: no Ucraina no business?”, ha scritto su X e intervistato da Formiche.net.

Forchielli ha tutte le ragioni. Se l’imperialismo russo si afferma con la forza delle armi, quello cinese lo fa con la forza del commercio e della finanza. Ma, dal Mar Artico all’Africa passando per l’Ucraina, i due imperialismi sono tra loro saldati e compattamente muovono contro gli interessi dell’Occidente. Stringere accordi commerciali in ordine sparso su materie delicate e strategiche come le auto elettriche, l’Intelligenza Artificiale, i semiconduttori e più in generale il settore high-tech non sembra il modo migliore per affrancare l’Europa e gli Stati che ne fanno parte dall’ombra incombente del dragone imperialista. Né per marginalizzare il ruolo globale della Russia di Putin.

La politica estera e di sicurezza, oltre alla necessità di una indipendenza economica, suggerirebbero un approccio coordinato a livello europeo. Ma l’Europa non sembra esistere. Esistono i singoli Stati europei, che rispetto alla Cina vantano un approccio miope. Miope e leggermente ipocrita, se è vero, come è vero, che Francia e Germania hanno duramente criticato gli accordi sottoscritti dall’ungherese Orban con XI Jimping per poi fare grosso modo lo stesso.

La visita di questi giorni di Giorgia Meloni a Pechino ha dunque rimarcato un problema diffuso. Con la peculiarità che, a differenze di altri partner europei, l’interscambio commerciale tra l’Italia e la Cina era e resta a favore di quest’ultima.



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