Si è concretizzato lo scambio che ha coinvolto il giornalista del Wsj, l’ex-marine, gli oppositori politici e gli agenti dell’intelligence russa. A spingere per lo scambio, i timori del Cremlino per una marcia indietro di Washington
Col passare delle ore, quello che si sta delineando all’orizzonte è il più grande scambio di prigionieri tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti degli ultimi decenni. Un possibile scambio è stato ventilato per mesi, con lunghe discussioni a porte chiuse che hanno coinvolto numerosi governi, facendo volutamente trapelare pochi dettagli nel pubblico dominio.
La lista dei nomi coinvolti ammonterebbe a ventisei persone (cifre che lo renderebbero de facto il più grande evento di questo tipo sin dalla fine della Guerra Fredda), di cui se ne conoscono solo alcuni. Tra di essi rientra nel gruppo delle personalità rilasciate dalle autorità di Mosca il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, mentre il condizionale è d’obbligo per l’ex marine americano Paul Whelan, la giornalista radiofonica russo-americana Alsu Kurmasheva e alcuni dissidenti politici russi tra cui Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin e Oleg Orlov.
Dall’altra parte del metaforico ponte ci sarebbero (almeno) otto cittadini russi, tra cui alcuni con sospetti legami con l’intelligence russa. In particolare spicca il nome di Vadim Krasikov, presunto colonnello del Fsb (il servizio di sicurezza della Federazione Russa, eredi del celebre Kgb), che sta scontando una condanna all’ergastolo per l’omicidio di un oppositore del Cremlino avvenuto in un parco di Berlino nel 2019. All’interno dello scambio dovrebbero essere incluse anche due sospette spie russe, Artem Dultsev e Anna Dultseva, arrestate in Slovenia nel 2022 e condannate mercoledì 31 luglio a scontare una pena di un anno e mezzo in prigione, prima di essere espulse dal Paese. E ancora Maxim Marchenko, Vadim Konoshchenok, Vladislav Klyushin, Roman Seleznev, e Alexander Vinnik.
L’ultimo scambio di prigionieri di alto profilo è avvenuto nel dicembre 2022, quando la stella del basket statunitense Brittney Griner, incarcerata con l’accusa di spaccio internazionale, è stata scambiata sulla pista dell’aeroporto di Abu Dhabi con il famigerato trafficante d’armi russo Viktor Bout, detenuto in un carcere americano da dodici anni.
Mentre l’ultimo scambio multiplo risale al 2010, quando a Vienna dieci spie russe detenute negli Stati Uniti sono state scambiate con quattro presunti agenti doppiogiochisti detenuti in Russia. Uno di loro era Sergei Skripal, un ex ufficiale dei servizi segreti militari di Mosca. Otto anni dopo, Skripal sarebbe stato avvelenato dall’agente nervino Novichok (marchio di fabbrica dei servizi di Mosca) nella cittadina inglese di Salisbury.
Le voci di un imminente scambio sono proliferate nei giorni scorsi, dopo che una serie di prigionieri politici russi di alto profilo (tra cui alcuni di quelli apparentemente compresi nello scambio) sono stati segnalati come scomparsi dai centri di detenzione e dalle prigioni della Federazione Russa, con le autorità carcerarie russe che hanno mantenuto il massimo riserbo, offrendo ad avvocati e parenti solo briciole di informazioni sul presunto trasferimento dei detenuti in questione, senza specificare la destinazione o il motivo del trasferimento.
Il presidente statunitense Joe Biden ha salutato lo scambio di prigionieri con la Russia come “un’impresa diplomatica. Alcune di queste donne e uomini sono stati ingiustamente trattenuti per anni. Tutti hanno sopportato sofferenze e incertezze inimmaginabili. Oggi, la loro agonia è finita”, ha affermato Biden in una dichiarazione pubblica.
Tra i vari fattori da includere nel computo, anche l’avvicinarsi delle elezioni americane avrebbe spinto per il concretizzarsi dell’accordo. Vladimir Putin avrebbe infatti preferito capitalizzare un negoziato portato avanti per mesi, al cui interno sono incluse personalità che il Cremlino vuole a tutti i costi riportare in patria (Mosca vuole trasmettere il messaggio di prendersi sempre cura dei suoi agenti impegnati all’estero), e non rischiare la tabula rasa che un arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump avrebbe potuto provocare. D’altro canto, lo stesso Trump aveva in più occasioni affermato che avrebbe convinto il Cremlino a liberare Gershkovich senza dare nulla in cambio.
In un post su X, l’analista dell’istituto Affari Internazionali Nona Mikhelidze nota come la morte dell’oppositore politico Alexey Navalny potrebbe essere in qualche modo collegata ai negoziati per questo scambio. “Rilasciare Navalny era considerato troppo pericoloso”, scrive l’analista, “per questo l’ha fatto ammazzare, calcolando che sarebbe riuscito a convincere l’Occidente ad accontentarsi degli altri prigionieri politici. E ci è riuscito. Questa partita l’ha vinta lui”. Mikhelidze aggiunge anche che “per Putin è sempre stata di massima importanza riportare a casa le sue spie. La tecnica più efficace è arrestare il maggior numero possibile di giornalisti e attivisti stranieri o russi, non perché ha paura del loro lavoro, ma perché gli servono per questo tipo di scambio”.