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Bologna, ferita nazionale. Il ruolo di Gelli e i (tanti) segreti sulla strage secondo Ignazi

Sono ancora tanti gli atti che non sono stati desecretati sulla strage di Bologna. Probabilmente perché contengono le prove delle implicazioni di alcuni esponenti dello Stato nell’attentato terroristico di matrice neofascista. Licio Gelli non era in grado di architettare un fatto di quella portata, benché fu tra gli ispiratori. La destra italiana deve ancora lavorare sulla propria autocoscienza rispetto a quel 2 agosto. Colloquio con il politologo Piero Ignazi

Il 2 agosto è una data che ancora odora di sangue e di una verità mai emersa del tutto. La strage neofascista alla stazione di Bologna rappresenta uno spartiacque nella storia del nostro Paese che, da quel momento, non è più stato lo stesso. Nelle zone d’ombra dei tanti segreti che ancora aleggiano sono maturate teorie e congetture più o meno aderenti alla realtà. La cosa certa è che la dimensione di quel terribile attentato costato la vita a oltre ottanta persone, in quella maledetta mattina del 1980, “rende la strage di Bologna una ferita collettiva per tutta la nazione”. A dirlo è il politologo, già docente dell’Università di Bologna, Piero Ignazi che su Formiche.net dà la sua lettura su alcuni punti ancora avvolti nel mistero.

Professore, partiamo da alcuni aspetti dai contorni tutt’ora poco chiari. Perché, secondo lei, non sono stati desecretati tutti gli atti sulla strage di Bologna? Cosa contenevano?

La mia è un’ipotesi, ma è ragionevole pensare che all’interno di quei documenti mai resi noti ci fossero le prove delle implicazioni di alcuni esponenti dello Stato a vari livelli. Non tanto nella strage in sé, quanto più nelle convulse e oscure fasi successive. Questo è quello che si è portati a pensare, anche sulla base del coinvolgimento più o meno diretto di fette dello Stato anche in altre stragi che hanno insanguinato il Paese in quegli anni.

Quello di Bologna è riconosciuto come un dramma collettivo, più di altri. L’aspetto dimensionale da lei indicato è sufficiente a giustificare questa rilevanza?

Sicuramente incide: a livello europeo prima di quel 2 agosto del 1980 mai si era registrato un attentato di quella portata, con così tante vittime. Poi, c’è un aspetto legato a ciò che la città ha sempre significato. Bologna ha sempre avuto una caratterizzazione di sinistra. I neofascisti hanno colpito lì. Ma in qualche modo dopo il ’69 è stato individuato un target comune: era da colpire ciò che fosse “di sinistra”.

Secondo qualche collaboratore di giustizia – Vincenzo Vinciguerra, su tutti – la strage di Bologna fu architettata per distogliere l’attenzione dalle indagini di carattere internazionale che si stavano compiendo sulla strage di Ustica. Esiste un collegamento?

Francamente non li leggo come due episodi collegati, se non per il fatto che anche sulla strage di Ustica ci siano ancora tanti punti da chiarire che con ogni probabilità non emergeranno mai benché siano emerse di recente anche nuove ipotesi su come siano andati realmente i fatti.

Arriviamo a Licio Gelli, maestro venerabile della loggia P2. Secondo lei fu lui il grande mandante?

Mi sembra che si sia attribuito a Gelli un ruolo ben superiore a quello che in realtà ebbe. Gelli non sarebbe stato in grado di organizzare un attentato di queste proporzioni, era in fondo una pedina. Il “motore” della strage va trovato in ambienti politici, militari e internazionali. Sicuramente Gelli fu tra gli ispiratori, forse anche tra i finanziatori ed ebbe un ruolo senz’altro nella fase della “copertura” di quanto accadde. Ma da qui a sostenere che si trattasse del principale mandante, mi pare francamente eccessivo.

Nel suo intervento la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha parlato di “clima di odio” verso il governo, anche in questo giorno in cui il sentimento di raccoglimento per le vittime dovrebbe prevalere. Come valuta le sue parole?

Semplicemente irricevibili. La presidente del Consiglio continua a confondere le legittime critiche con l’odio. Criticare un esecutivo rappresenta uno dei presupposti sui quali si regge il dibattito politico in un Paese democratico. Considerar altro le critiche, è fuorviante e inaccettabile.

C’è stato, secondo lei, negli anni un lavoro di autocoscienza della destra italiana su ciò che fu la strage?

Rispetto alla destra di Gianfranco Fini questa rappresenta una grande involuzione. Ci troviamo esponenti politici che idealizzano gli anni ’70 e la destra di quegli anni. Direi che è tutto abbastanza desolante.

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