L’ex premier dopo la batosta elettorale delle europee sta ritornando nel risiko della politica che conta. E mira al campo largo per fare il centro che ha in testa. Ma prima deve risolvere la grana di Italia Viva. Dirigenti e iscritti contrari alla virata a sinistra. Nella riedizione ipercinetica del leader sarà cosa buona e giusta trovare un fermo. L’attesa è per quello che ha promesso che farà da qui a poco. L’opinione di Maurizio Guandalini
È aperta la disputa dentro Italia Viva. Perché il comandante in capo, Renzi, ha virato verso il centrosinistra. La richiesta è di un congresso e l’elezione di un nuovo segretario. Qualcuno, tra i papabili futuri leader, pensa che Italia Viva sia altra cosa da Renzi? Renzi è Italia Viva e Italia Viva è Renzi.
Chi si è recato al voto o ha aderito a quella formazione politica l’ha fatto perché c’era – e c’è – Renzi. Lo ricordo perché il ceto dirigente di Italia Viva – alcuni molto capaci, fedelissimi o, a questo punto, ex fedelissimi, – all’ex premier gli deve tutto e sarebbe anacronistico pensare a un cammino autonomo senza di lui. Renzi ha fatto un partito a sua immagine e somiglianza come fece Berlusconi con Forza Italia. Come sono Fratelli d’Italia e la Lega. Oggi ci sono le leadership, non i partiti. Anche Schlein l’ha compreso dentro il Pd, il partito della ditta per antonomasia.
Quindi solo l’ex sindaco di Firenze può disporre chiusure, riaperture, collocazioni future e segretari in pectore. Mi stupisco che non l’abbiano capito persone come Marattin, prima Ettore Rosato e l’ex ministra Elena Bonetti, e altri ancora. Molti, furbescamente, rimasti nel Pd, toccati da Renzi in brillanti carriere politiche, anche ministeriali. Renzi è un leader riconosciuto. I candidati a capi di domani di Italia Viva hanno qualità ma senza effetto trascinamento degno di nota.
La trama di una politica dei leader
Vedremo come andrà finire la faccenda. Il percorso. Può darsi che Renzi lasci la scalata agli astanti che fremono e che, forse, gli fanno anche un piacere. Italia Viva è un tentativo andato a male di un centro che tutti cercano e nessuno piglia. Prima con Calenda, altra “creatura” di Renzi, poi, dopo la morte del cavaliere, il timoniere di Italia Viva ha sterzato verso Forza Italia. Ma quella è zona off limits di proprietà dei figli di Berlusconi che un giorno, chissà mai, uno di loro potrà guidare.
Ho scritto un pezzo paradossale dal titolo “Se Marina scendesse in campo” dopo la manifesta intenzione della timoniera di Mondadori di trovare intese sui diritti civili con la sinistra. Discesa o non discesa ereditaria, Forza Italia va energizzata. Questo è il sentiment predominante. Processo non semplice che deve partire dalla constatazione attuale di chi tifa e vota il partito di Berlusconi. Affezionati al ricordo del Cavaliere e meno in linea con le visioni di Marina e Piersilvio.
Nessun strike in Forza Italia, Renzi – che Silvio Berlusconi ha sempre visto come un suo erede mancato – ritorna alla casa del padre nel centrosinistra, campo largo, ulivo qualsivoglia. E già da quelle parti è scattato l’allarme. Da alcune cronache del gossip politico pare che Renzi si senta spesso con Schlein, e ora anche con Landini per il referendum sull’autonomia differenziata.
La paura di molti quando arriva Renzi è da Mr. Wolf, colui che risolve problemi. Fa, disfa, mette Conte, toglie Conte, fa entrare Draghi, spinge Mattarella. Il personaggio è un po’ questo, lo conosciamo. È certo che un riavvicinamento al centrosinistra non vuol dire rientrare nel Pd, ipotesi nemmeno presa in considerazione. A lui interessa il cantiere del centro nel centrosinistra. Una formazione dove riunire un po’ di anime perse e gli scontenti nel Pd, frutto del fallace matrimonio tra Margherita e Ds. Un così lieve afflato era previsto fin dall’inizio quando si sono guardati bene dal mettere insieme il corposo patrimonio immobiliare indirizzato a due fondazioni distinte, appunto una Ds e l’altra Margherita.
Il centro che serve
Ma è evidente che un centro così pensato è poca roba. Serve un centro liberaldemocratico, nutrito del pensiero di Einaudi. L’idea costitutiva di Forza Italia: diritti civili e diritti sociali, sui quali, i secondi, il professor Ricolfi consiglia a Schlein di puntare. Meglio potrebbe fare questa futuribile formazione centrista, puntare sulla libertà, sulle liberalizzazioni nelle professioni in alcuni mestieri disciplinati da polverosi ordini. Aperture ovunque: nelle università, nella pubblica amministrazione. Togliere il valore legale del titolo di studio. Cose buone e giuste.
Agire con la diligenza del buon padre di famiglia. Regole nel mercato perché è assurdo stare in un Paese con centinaia d’imprese che si occupano di energia e avere le bollette del gas e della luce cresciute dal 2019 al 2023, rispettivamente, del 72% e del 117%. D’accordo il green ma con l’idea che nessuno va lasciato indietro.
Voltare le pagine all’indietro per studiare e imparare da alcune personalità come Fanfani che, da ministro del Lavoro, fu il primo e l’ultimo a stilare un piano casa di pregio e sostanza. Perché casi come quello di Scampia sono paradigmatici dell’incuria mostrata dalla classe dirigente.
E poi una riforma fiscale che finalmente centri gli obiettivi che sono quelli di far respirare il contribuente, alleggerendolo da una burocrazia assillante fatta di citazione di leggi, rimandi, regolamenti che stordiscono. Occorre una riforma dell’Agenzia delle Entrate (che devono fare i politici, non i funzionari dell’Agenzia) per formare il personale (che deve lavorare, negli uffici, a compilare la dichiarazione dei contribuenti), educare a linguaggi semplici, togliere l’assillo della riscossione continuata e a tutti i costi, rinunciando anche a quegli algoritmi che regolano i controlli spesso sbagliati e inconcludenti.
Mi fermo. Si tratta di uscire dalle chiacchiere di circostanza e mettersi al lavoro. E poi conciliare, cucire questa grande intesa che non deve cadere nell’improvvisazione della gioiosa macchina da guerra, come ricordava Giorgio Merlo. Quello sarà il check point di verifica. Il percorso è tutto da scrivere. Per ora stiamo a Renzi, spernacchiato da più parti nei mesi trascorsi. Alcuni rimarcavano la sua fine politica, soprattutto dopo il mancato raggiungimento del quorum alle europee e, prima, il divorzio da Calenda.
Sentivo qualche giorno fa il direttore Travaglio a la Confessione su Rai tre condotta da Gomez, che invitava Renzi a ritirarsi dalla politica, dimettersi e andarsene. Oggi, da più parti, c’è una rivalutazione del personaggio al quale è riconosciuto essere un politico di razza. Uno dei pochi nel panorama odierno, con doti difficilmente contendibili.
Apprezzamenti ultimi in ordine di tempo sono arrivati dal professor Cacciari in un’intervista al Corriere, di certo non adulatore della prima ora del leader fiorentino. Parere opposto a quello del professor Ricolfi, che lo sistema rinfacciandogli quattro fasi politiche in controtendenza in soli cinque, sei anni. Ma, aggiungiamo noi, il pendolarismo è inevitabile nel momento in cui le ideologie sono KO e i partiti sono destrutturati.
È nota l’antipatia verso Renzi. Ancora di più dalle parti del Pd e soprattutto al suo interno. È stato quel partito, il gioco delle correnti senza voti, che l’ha sfiancato durante la premiership. Distrutto. Costruito un pedigree fake, del “prometto e non mantengo”, che lo sta portando dietro ancora oggi. La realtà dei fatti è all’opposto. Tra provvedimenti per il lavoro, l’economia, i diritti civili e sociali, mai nessun Governo ha fatto come Renzi.
Fu il primo tentativo, poi non riuscito, di un Pd riformista. Socialdemocratico si diceva una volta. Renzi è visto male, per dicerie diffuse, perché ritenuto responsabile della distruzione progressiva del partito democratico. Tra la stragrande maggioranza dei militanti piddini gira così. E pensare che Renzi ha battezzato una classe dirigente diffusa di sindaci e segretari Pd, oggi in molte federazioni e segreterie di sezioni importanti. Oltre ad aver portato formalmente il Pd nel partito socialista europeo. Tant’è, l’irriconoscenza è in perpetuo trionfo.
La quiete dentro la tempesta
Rebus sic stantibus, il ritorno di Renzi riparte da qui. Non ha bisogno di presentare curriculum o attendersi benedizioni da chicchessia. Nemmeno la patente di consulente, più che di politico, lo sposta. Vedremo nei prossimi mesi quello che farà. L’ha annunciato in un articolo di Tommaso Labate sul Corriere. “Triste io? Lasciatemi qualche settimana di tempo e vedrete che cosa vi combino”, aveva preannunciato la notte del quorum mancato di Italia Viva alle ultime europee. L’attesa sconfina con l’imprevedibilità del personaggio, capace di prendersi lo spazio che serve senza permessi particolari.
Un consiglio sentiamo di darglielo. Quiet, please. Renzi è uno che passa, vola, dimentica, si dedica ad altro, compone, scompone, se ne va. L’attitudine alla perseveranza è un titolo di merito che non lo riguarda. Lo spirito non gli manca. È un guerriero con il morale mai andato sotto i piedi, ipercinetico.
In una intervista al Corriere ha ricordato il suo affetto e amicizia personale per Biden. Ricordo che Renzi era, un po’ di tempo fa, tra i papabili a sostituire Stoltenberg alla segreteria della Nato. Mi piacerebbe chiedergli perché non ha coltivato questa eventualità soprattutto quando le congiunzioni delle relazioni personali erano perfettamente allineate.
Ne ho intuita certezza. Se avesse voluto battere la strada per ottenere quel risultato l’avrebbe scossa fino all’obiettivo. Ma Renzi, per chi ancora non l’avesse capito, non è uno che va a caccia d’incarichi prestigiosi. In corso d’opera poteva cedere a diverse offerte, alte, ma non l’ha fatto perché in testa ha una logica che nutre di suoi convincimenti. Solidi, ma che inframezza di passioni.
E, si sa, le passioni fanno giri immensi e poi ritornano.